Disertare gli Europei 2021. L’altra sera, subito dopo la partita con l’Austria, al di là d’ogni reminiscenza scolastica sulle guerre d’indipendenza e l’odiato occupante, a un certo punto non ho potuto fare a meno di piazzare sulla mia pagina social la più celebre canzone di Boris Vian,Il disertore”. Lo scrittore e trombettista francese la scrisse negli anni Cinquanta, per protesta contro la guerra d’Algeria, credo tuttavia vada benissimo, nella sua sostanza politica ed esistenziale, anche per il mio stato d’animo riferito agli Europei 2021 di calcio in corso.

Disertare innanzitutto la retorica, almeno personalmente è questo il mio proposito, così fino al sogno laico, liberatorio, anarchico che vadano presto a casa battuti, e con essi sconfitta ogni retorica “azzurra”. Afferma un amico, Nicola Pasta, filosofo orale palermitano, che il calcio ha un ruolo fondamentale nella sopravvivenza mentale per il genere umano: concede la possibilità, perfino al più cretino individuo, di ritenersi in possesso di un pensiero sul mondo, se non proprio come Fichte, Schelling ed Hegel, quasi; non certo però come l’inarrivabile Nietzsche. Il guaio giunge quando si accetta il mondo nella sua banalità per dogma, e allora, così come è eticamente ammissibile disertare le guerre, come già fece il fante Augusto Masetti durante la campagna di Libia, nel 1911, al punto da sparare addirittura al suo comandante, tanto che gli anarchici segnarono sui muri mille “Viva Masetti! Abbasso la guerra”, allo stesso modo si può disertare la subcultura beota che discende dal tifo calcistico.

Prendi ora la questione di compiere il gesto politico di inginocchiarsi contro il razzismo, si tratta, a meno che non si sia “fascisti”, di un atto di assoluta, placida, civiltà, lo so, lo so che in Europa in questo momento abbiamo gentaglia politica come Orban, ciò non toglie che si possa custodire un pensiero civile, riferibile ai diritti fondamentali circa il rispetto dell’Altro e del piacere, se aggiungiamo pure le battaglie LGBT+. Peccato che le espressioni di un Chiellini, il capitano, maglia numero 3, di fronte a certe questioni, diano ragione a chi, commentando un post anti-Europei, ha scritto: «Se il procuratore non gli dà un’opinione che colpa hanno? Poverini». Nel mondo delle idee rispettabili e non acefale, lontano dal tifo calcistico analfabeta, tutto ciò prende nome qualunquismo, ed è in prospettiva il cameriere che apre i portoni al fascismo.

“Boom! Che parolone!”, diranno adesso alcuni, convinti che questo si presenti ora e sempre con Mussolini sul cavallo bianco che a suo tempo non poté entrare vittorioso ad Alessandria d’Egitto, l’elmetto nero con pennacchio bianco della Milizia sul capo, e non un bene rifugio subculturale nazionale; qualunquisti, per l’appunto. Tutto vero, in un momento di emozione si può sbagliare pronunciando “nazismo” in luogo di “razzismo”, né va negato che si tratti di sinonimi sul campo pratico. Altrettanto però va aggiunto: chi vanta una laurea, si spera custodisca, accanto al pallone medicinale ottimo per allenarsi, un pensiero civile sul mondo, risparmiandoci banalità improprie quali: «Se devo pensare a un’opera d’arte alla quale associare questa Nazionale, mi viene in mente Van Gogh, del quale ho in camera mia a casa, appesa alla parete, la riproduzione del “Mandorlo in fiore”.

Questa squadra è come un suo dipinto: molto particolare, molto bello, molto unico» (Matteo Pessina, maglia numero 12 dell’Italia di Mancini, volto impenetrabile). Sia detto per inciso, anche Vincent era un disertore, altrimenti non si sarebbe privato di un orecchio. Leggo ancora che questa: «È anche la Nazionale degli studenti, degli appassionati di libri, dei laureati: Pessina condivide con Raspadori, Locatelli, Sirigu e Chiellini la consapevolezza dell’importanza dello studio» (Enrico Currò per repubblica.it). Pensa se non lo fosse. Oppure dobbiamo prendere per buona l’idea secondo cui il calciatore, in quanto pieno di dobloni, famoso, desiderato dalle veline, con macchinone, pieno di altre donne ancora (o anche di uomini, sebbene nel caso fosse gay debba temere di fare “coming out”) debbano essere accettati in nome dell’idea che il capitale materiale è, per definizione generazionale, superiore al capitale delle idee, soprattutto del pensiero “civile”, ritenuto, quest’ultimo, “roba da radical chic”? Un pensiero che nelle generazioni incatenate ai social, nella prospettiva di diventare influencer, è abbastanza diffuso.

Disertare, disertare il luogo comune, disertare il tifo beota, disertare l’idea che possa esistere una sacralità del pallone, anche a dispetto delle parole di Pasolini sul “calcio come poesia” (assodato che finora, sempre lì, agli Europei 2021, non abbiamo visto nessun Diego Maradona o George Best, giganti, poeti, eroi, santi che trascendevano il gioco del calcio stesso) in grado di sovrastare ogni altra cosa. Assumersi la responsabilità di sbandierare questa nostra diserzione, anche a costo di sentirsi dire che si tratta del tipico atteggiamento da “intellettualoidi” (cit.), e godere ancora di più quando il presunto “reato” di diserzione possa indispettire anche il tifoso “di sinistra”, convinto, quest’ultimo, che il nome della malintesa cultura nazionalpopolare postulata da Gramsci, si tratti di un crimine: Togliatti, per dirla tutta, lo raccontava Giorgio Bocca, mortificava il suo vice, l’ignaro Luigi Longo, chiedendogli prima delle riunioni di segreteria, se sapesse il risultato settimanale della Juventus. Esiste anche un altrove, non meno felice d’ogni stadio, dove non c’è né Dio né padroni né pallone con sponsor europeo.

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Fulvio Abbate è nato nel 1956 e vive a Roma. Scrittore, tra i suoi romanzi “Zero maggio a Palermo” (1990), “Oggi è un secolo” (1992), “Dopo l’estate” (1995), “Teledurruti” (2002), “Quando è la rivoluzione” (2008), “Intanto anche dicembre è passato” (2013), "La peste nuova" (2020). E ancora, tra l'altro, ha pubblicato, “Il ministro anarchico” (2004), “Sul conformismo di sinistra” (2005), “Roma vista controvento” (2015), “LOve. Discorso generale sull'amore” (2018), "Quando c'era Pasolini" (2022). Nel 2013 ha ricevuto il Premio della satira politica di Forte dei Marmi. Teledurruti è il suo canale su YouTube. Il suo profilo Twitter @fulvioabbate