Nel dibattito pubblico tra esperti tiene campo ancora il tema del rischio della rincorsa prezzi-salari in presenza di un’inflazione che, nell’area dell’euro, la Bce stima al 6,8 per cento nell’anno (in Italia, a maggio ha raggiunto l’8 per cento circa). Il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha sostenuto che, se i recuperi salariali si risolvessero in aumenti “una tantum” delle retribuzioni, il rischio di un avvio del circolo vizioso tra inflazione e crescita salariale sarebbe ridotto; tutt’altra cosa sarebbe se si introducesse un qualche meccanismo che ricordi le superate indicizzazioni.

La Bce, con la riunione del Consiglio direttivo del 9 giugno, ha deciso un primo aumento dei tassi di interesse di 25 punti base a luglio insieme con la fine del “quantitative easing” riguardante l’acquisto di asset, ma ha mantenuto il reinvestimento – stabilendo le relative modalità – dei titoli rimborsati. Un ulteriore aumento è previsto per settembre. Abbiamo visto finora, da un lato, per un lunghissimo tempo una Bce pervicacemente impegnata a sostenere che la crescita dell’inflazione era un fatto passeggero e, intanto, trascorrevano i mesi e l’anno e restava, nelle dichiarazioni della presidente Christine Lagarde, un evento transitorio rappresentandosi così una plateale contraddizione smentita dallo stesso passaggio del tempo; dall’altro lato, questo atteggiamento non subiva – per interessi, sottovalutazione, subalternità o ignoranza – alcuna critica. Eppure non si può ritenere che una Banca centrale non abbia il dovere di rispondere delle proprie azioni, di riconoscere pubblicamente gli errori che eventualmente compie e di indicare le linee correttive che si ripropone.

Non è un soggetto giuridicamente “irresponsabile” o immune da qualsiasi forma di censura. Né le responsabilità si possono evidenziare solo 10-12 anni dopo, come nel caso, che si continua a ripetere, della decisione della Bce, sotto la presidenza di Jean-Claude Trichet, di alzare, nel 2008, i tassi: una manovra – che fu adottata dal Consiglio direttivo del quale facevano e fanno parte i Governatori delle Banche centrali, Bankitalia ovviamente compresa, non certo dal solo presidente – che finì con l’aggravare le difficoltà in un contesto orientato a una infausta austerity. Un intervento tempestivo anti-inflazione con una politica d’anticipo avrebbe avuto minori “costi” e avrebbe conseguito migliori risultati. Ora, lo scostamento dell’inflazione dal livello fissato per il mantenimento della stabilità dei prezzi (2 per cento “simmetrico”), da parte dell’Istituto centrale non consente di continuare nell’inerzia. Occorreva intervenire.

Lo si farebbe con una opportuna gradualità. Al previsto aumento di 25 punti base dei tassi e alla fine del programma di acquisto di titoli bisognerà vedere se e quali altre misure si accompagneranno per attenuare la stretta, sia sullo stesso terreno monetario, sia per la parte che spetta ai Governi e alle autorità europee. Prima ancora, andrà verificato come l’aumento si traslerà sulla clientela delle banche che, in generale, dall’innalzamento dei tassi traggono un miglioramento della redditività: si abbia presente che l’aumento di 25 punti base attenua la penalizzazione dei depositi delle banche costituiti presso la Bce finora al -0,50 per cento. In particolare, per i riflessi sulla clientela, possono essere coinvolte quelle operazioni che sono agganciate direttamente o indirettamente all’andamento dei tassi di riferimento. Impatti si registreranno altresì sui titoli pubblici. Più in generale, fondamentale diviene, a questo punto, il raccordo tra politica monetaria e politica economica e di finanza pubblica a livello centrale e di singoli Paesi.

Le proposte sull’istituzione di un “price cap” per il gas e per il lancio di un Recovery Plan “ bis” per i prodotti dell’energia e alimentari, con l’intento di sostenere famiglie e imprese – avanzate in particolare dal Premier Mario Draghi – sono un modo per contribuire al necessario raccordo accennato, cominciando concretamente ad affrontare il complesso tema di una parte di debito comune europeo. Ma certamente non bastano. In Italia, mentre prosegue l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, occorre, a maggior ragione dopo la decisione europea riguardante l’introduzione del salario minimo, il varo di una politica dei redditi, con l’obiettivo di sostenere la crescita e l’occupazione – sulla base di una convergenza tra parti istituzionali e parti sociali – mentre si fa in qualche modo restrittiva l’azione della politica monetaria. In questo quadro misure finora adottate separatamente andranno ricondotte a unitarietà e organicità, se del caso rifinanziate, per costituire un raccordo con la progressiva attuazione delle riforme di cui al predetto Piano. Insomma, con la decisione della Bce è l’insieme delle politiche, ivi inclusa quella monetaria, che andrà rivisto, integrato e potenziato, non dimenticando per l’Italia la centralità della questione-debito.