Per la tregua tra Hamas e Israele si tratta molto probabilmente degli ultimi attimi. Ieri è tornato in patria un nuovo gruppo di ostaggi, con la drammatica attesa delle salme di tre vittime dopo l’annuncio da parte di Hamas della morte della mamma e dei piccoli della famiglia Bibas. E nelle stesse ore, il governo dello Stato ebraico e l’organizzazione che controlla la Striscia di Gaza hanno discusso ancora una volta dell’estensione del cessate il fuoco per un altro giorno. Una trattativa mediata da Egitto e Qatar e su cui è giunta da tempo anche la benedizione dell’amministrazione americana, con il presidente Joe Biden impegnato in prima persona insieme a tutto il suo staff.

Ma l’impressione è che il tempo inizi a scarseggiare. Israele ha fatto capire di essere disposto ancora per poco a proseguire con l’accordo: un giorno di tregua in più in cambio di dieci ostaggi liberati da Hamas. Mark Regev, consigliere del primo ministro Benjamin Netanyahu, in un’intervista alla Cnn ha spiegato come il suo governo sia disponibile ad accettare un’estensione del patto, a condizione che l’organizzazione palestinese rispetti i termini e abbia le capacità di consegnare a Israele dieci ostaggi al giorno (anche inserendo uomini e non solo donne e bambini). Tuttavia le perplessità su quanto possa durare la tregua tra Israel defense forces e milizie palestinesi iniziano a essere molte. Sia per la tensione crescente che si respira in Israele e nella Striscia di Gaza, sia per la volontà del governo Netanyahu di evitare che la tregua distolga dall’obiettivo della distruzione di Hamas dall’exclave palestinese. Elemento su cui anche lo stesso Regev è stato chiaro: “Finché Hamas sarà presente, non ci sarà un Day After. Il cessate il fuoco è una vittoria per Hamas e un pericolo per l’intera regione”.

Tregua interrotta da attentati in Cisgiordania e a Gerusalemme

Sotto l’aspetto della tensione, quella di ieri è stata una giornata estremamente complessa, che si aggiunge alla sera di mercoledì, quando le Idf hanno confermato l’uccisione di tre miliziani palestinesi nella Striscia che avevano violato il cessate il fuoco. Ieri mattina Gerusalemme è stata teatro di un attentato a colpi di arma da fuoco che ha provocato la morte di tre cittadini israeliani: due giovani donne di 16 e 24 anni, quest’ultima incinta, e il rabbino Elimelech Wasserman, di 73 anni. L’attacco è avvenuto per mano di due palestinesi di Gerusalemme est, che sono scesi dall’automobile sparando con un fucile M-16 e una pistola, e che poi sono stati uccisi sul posto dalla sicurezza. Il ministro della Sicurezza, Itamar Ben-Gvir, da sempre contrario alla tregua con Hamas, ha definito l’attacco nella città santa una palese violazione dell’accordo con Israele, esortando il governo a riprendere immediatamente le operazioni a Gaza. Sul social X è poi intervenuto anche il generale Benny Gantz, secondo il quale l’attentato è “un’ulteriore prova del nostro obbligo di continuare a combattere con forza e determinazione contro il terrorismo omicida che minaccia i nostri cittadini. A Gerusalemme, a Gaza, in Giudea, Samaria e ovunque”. Poche ore dopo, un altro attentato ha colpito i militari delle Idf in Cisgiordania, con due soldati rimasti feriti in modo lieve dopo che un’auto ha cercato di travolgerli vicino il checkpoint di Moshav Bekaot. Due attentati che hanno reso evidente come sia sempre più difficile mantenere la tregua in tutti i fronti del conflitto una chiara via d’uscita di questo cessate il fuoco. Così come la notizia dell’attivazione serale dell’Iron Dome vicino la Striscia di Gaza.

Allo stesso tempo, mentre la diplomazia ha continuato a cercare il modo di estendere la tregua quantomeno fino a domenica, il governo israeliano ha anche iniziato a far capire ai suoi partner e alla controparte del negoziato che il tempo a disposizione è ormai agli sgoccioli. E ieri anche il quotidiano Ynet aveva fatto capire come i funzionari dello Stato ebraico si fossero ormai tarati su venerdì come ultimo giorno di stop ai combattimenti, con un’estensione che poteva al massimo giungere a ulteriori e definitive 48 ore. Da un lato, Hamas non appare in grado di localizzare altri ostaggi oltre gli eventuali cento consegnati alla fine dei dieci giorni di tregua. Inoltre molti osservatori sottolineano che a questo punto sia necessario raggiungere un altro tipo di accordo se si vuole rendere la pausa nelle ostilità una situazione più cristallizzata. Questa consapevolezza sembra avere fatto breccia anche nelle manovre della diplomazia statunitense.

Riprende guerra tra Israele e Hamas, il giuramento di Netanyahu

Ieri il segretario di Stato Anthony Blinken è sbarcato di nuovo in Israele per parlare con le massime autorità del Paese e ha poi fatto tappa a Ramallah per incontrare il leader dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen. Il capo della diplomazia Usa ha voluto ribadire l’attenzione di Washington sul pericolo che esploda la tensione in Cisgiordania e si è soffermato ancora una volta sull’importanza della tregua per l’arrivo degli aiuti umanitari a Gaza e per la liberazione degli ostaggi. Tuttavia quanto è scaturito dall’incontro con Netanyahu mostra come le intenzioni dell’esecutivo siano chiare. “Abbiamo giurato, io stesso ho giurato, di eliminare Hamas. Niente ci fermerà”, ha detto il premier dopo il vertice, ribadendo di volere continuare la guerra “fino a quando raggiungeremo i nostri scopi”. Blinken ha ricordato la necessità di proteggere i civili, soffermandosi sui nuovi piani di guerra approvati dallo Stato maggiore. Anche il ministro della Difesa Yoav Gallant ha confermato lo scenario della pronta ripresa delle ostilità, con l’israeliano che ha detto al segretario di Stato Usa che Israele continuerà la guerra finché non sconfiggerà completamente Hamas e riporterà a casa gli ostaggi. E mentre la tregua si appresta a scadere, l’attenzione del mondo è rivolta a chi è ancora intrappolato nella Striscia di Gaza: le persone rapiti nel brutale attacco del 7 ottobre, e i civili palestinesi fuggiti verso sud. Lì dove molti si aspettano che le Idf colpiscano le ultime roccaforti di Hamas.