Stralci di comunicati stampa, passaggi di interviste apparse sui quotidiani o di interventi a convegni sulla materia. La relazione semestrale della Dia (Direzione investigativa antimafia) appare sempre più come un collage di fatti del passato già finiti all’attenzione di tutti, e non se ne capisce la reale utilità soprattutto nel momento in cui viene presentata con un ritardo di oltre un anno rispetto ai fatti di cui si parla. Parliamo di Napoli, per esempio: sappiamo che per moltissimi dei problemi della città criminale e degradata la soluzione migliore ha a che fare con il fattore tempo, e invece la tempestività nelle soluzioni è quella che più spesso manca. E così si finisce per girare attorno alle stesse consapevolezze, quelle che abbiamo da decenni ormai.

Napoli viene descritta nella relazione Dia come già sapevamo, come una città nella morsa di due grandi cartelli malavitosi: l’Alleanza di Secondigliano e i Mazzarella. Una città schiacciata da affari illeciti che i clan si spartiscono: dal traffico di droga alla tradizionale attività dei magliari, dal contrabbando alla contraffazione. E poi, frodi fiscali, interessi sul ciclo dei rifiuti, controllo di gran parte degli appalti, regia di speculazioni immobiliari, in particolare di quelle legate alle grandi infrastrutture produttive e di distribuzione commerciale. Tutte cose che hanno poco a che fare con la «camorra dei vicoli e delle stese» o con l’immagine di una camorra sgangherata, ma riguardano una camorra che mira a farsi impresa, forte di collusioni diffuse e di una capacità economica enorme. La Dia informa che «la criminalità organizzata avrebbe raggiunto la consapevolezza di dover operare in modo silente per sottrarsi all’attenzione delle forze dell’ordine ricorrendo alla violenza esclusivamente per frenare ribellioni o infedeltà», che «il venir meno della minaccia come strumento principale di operatività non rende peraltro le organizzazioni meno pericolose anzi ne amplificherebbe esponenzialmente la potenzialità operativa».

«Nell’odierno scenario la camorra campana si confermerebbe composta da un difficile e complicato mosaico dove si intrecciano clan o federazioni di clan», si legge nella relazione. E ancora, «la capacità di tessere rapporti con il mondo imprenditoriale e delle istituzioni renderebbe persistente la minaccia di infiltrazione nel comparto degli appalti di opere pubbliche, poiché le imprese contigue alla camorra possono disporre di ingenti risorse finanziarie provenienti dalle attività illecite e muoversi nei mercati di riferimento in posizione di vantaggio rispetto alle imprese “sane”». La Dia specifica anche che la camorra è sempre più “social”: «Forte è il rischio che l’identità mafiosa possa prendere il sopravvento anche attraverso la credibilità e l’autorevolezza del profilo social che esalta e diffonde la reputazione criminale del soggetto con lo status di uomo di camorra», sottolineando che «in questa dimensione socio-culturale non vanno sottovalutati i fenomeni di violenza urbana ad opera di bande» e che un altro doloroso problema che affligge contesti urbani e di periferia «è il fenomeno della criminalità minorile». «In generale si tratterebbe di giovani che proverrebbero prevalentemente da periferie degradate e che hanno maturato esperienze di vita segnate da disagio familiare, difficoltà economiche, gravi forme di precarietà abitativa e carenze culturali derivanti da discontinuità o da completo abbandono scolastico», conclude. E tutto con riferimento al primo semestre 2021, un’era fa vista la rapidità di evoluzione di certe dinamiche e di certi fenomeni. Purtroppo.

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).