Alle volte anche i potenti, i potentissimi, ricevono delle bastonate. In genere si riprendono in fretta. Però quando le bastonate sono tante, e arrivano tutte insieme, e da direzioni diverse, è un problema. In questi giorni Giuseppe Pignatone, il magistrato (l’ex magistrato) più potente d’Italia, il dominus della giustizia italiana negli ultimi dieci anni, sta prendendo parecchie bastonate. Ieri è arrivata l’ultima: le motivazioni con le quali la Cassazione ha smontato il processo Mafia-Capitale. Nel senso che ha negato che ci fosse traccia di mafia, nei delitti vari – essenzialmente estorsioni e tangenti – che furono l’oggetto del processone. Su Mafia-Capitale, Pignatone e i suoi – compreso l’attuale procuratore di Roma Michele Prestipino – hanno costruito la loro fama e il loro prestigio. Oggi la Cassazione dice che questo prestigio era usurpato. E che l’errore – diciamo così – degli inquirenti fu marchiano. Non era mafia. Del resto chiunque abbia seguito un po’ quel processo poteva accorgersene sin dal primo momento.

Anche se poi i giornalisti non lo scrissero, ma lo sapevano. I politici non lo dissero, ma potevano saperlo. Se non ricordo male ci furono pochissimi giornali e giornalisti che osarono criticare Pignatone deus, ricordo il Foglio e ricordo il giornale che dirigevo all’epoca, che si chiamava Il Garantista. Mi pare basta. Non è che noi fossimo dei grandi investigatori, solo che avevamo imparato cosa volesse dire la parola mafia e avevamo letto qualche dichiarazione e qualche libriccino di Giovanni Falcone. Bastava per capire che Mafia-Capitale era una invenzione pura. Sostenuta dal circolo dei Pignatoniani collegato al circolo dei giornalisti, guidato, come spesso accade, da quelli dell’Espresso e del Fatto.  A che serviva inventarsi la mafiosità inesistente di un gruppetto di estorsori? A due cose. Fama, innanzitutto, e iscrizione gratuita al Club dell’antimafia professionale (una delle lobby più potenti d’Italia, anzi, probabilmente di gran lunga la più potente); e poi semplificazione delle indagini.

Se c’è l’accusa di mafia il Pm è molto facilitato, può con semplicità bypassare ogni sorta di garanzia che la legge ordinaria assicura all’imputato, può incarcerare in gran facilità, isolare, indurre con una certa disinvoltura a confessioni vere o fasulle. Il doppio binario della giustizia, che aggira i principi della Costituzione, serve a questo. Ed è una delle ragioni per le quali ormai si cerca di ottenere dai Gip la “modalità mafiosa” anche per un divieto di sosta.
Il crollo del teorema di Mafia-Capitale – che comunque, in un Paese appena un pochino pochino normale dovrebbe costare qualcosina, in termini di credibilità e di carriera, agli investigatori pasticcioni che quel teorema hanno inventato – non è l’unico schiaffo preso da Pignatone in queste ore. Ce ne sono altri due. L’inchiesta Palamara e il definitivo abbandono di Travaglio.

L’inchiesta Palamara ha dei punti oscuri per quel che riguarda Pignatone. Il punto oscuro principale è il silenziamento del trojan ogni volta che lo stesso Palamara stava per incontrare Pignatone. Anche quel giorno nel quale andò a cena – pare – per vedere come sistemare la successione alla Procura di Roma. Pignatone voleva il suo delfino, cioè Prestipino, che però non aveva i voti sufficienti in Csm perché il gioco delle correnti portava altrove. (Però alla fine Prestipino fu). Palamara no, voleva Viola, ma era disposto a discutere. Discussero, spiati a loro insaputa dal trojan traditore, ma quel giorno il trojan non tradì. Abbiamo scritto queste cose circa un mese fa, i grandi giornali però non ci hanno dato retta. I grandi giornali, si sa, prendono gli ordini ciascuno da una diversa corrente della magistratura, qualcuno anche contemporaneamente da un paio di correnti, e se quelli delle correnti gli intimano il silenzio, loro silenziano… Ora però le notizie stanno filtrando. E Pignatone non è contento. Non si sa cosa si dissero lui e Palamara durante quella cena, però si sa che la corrente di Palamara, che era per Viola, alla fine votò il candidato di Pignatone.

Poi escono altre voci. Pare che Pignatone abbia incontrato il ministro Bonafede varie volte – risulta dalle chat di Palamara – e pare che l’abbia incontrato anche subito dopo la famosa proposta di Bonafede a Di Matteo per il Dap. Siccome – si sa – tra Di Matteo e Pignatone buon sangue non corre, viene il dubbio che Pignatone non abbia espresso un parere favorevolissimo alla nomina di Di Matteo. È possibile che le cose siano andate così? È possibile che sia stato Pignatone deus a far cambiare opinione a Bonafede? C’è il rischio che queste cose emergano, se la commissione parlamentare antimafia invece di cazzeggiare si decidesse ad ascoltare Di Matteo sulle sue accuse sanguinose a Bonafede?

E poi – collegato a tutto ciò – c’è la questione Davigo. Davigo si è fatto bello dichiarando che sebbene lui abbia fatto un lungo percorso in auto con Palamara in un giorno d’aprile, il trojan non trasmise niente di compromettente. Infatti non fu trascritto nulla. Prova della sua purezza. Già, ma Davigo – che è un magistrato e un consigliere del Csm quindi deve essere ed è informato – sa benissimo che il trojan fu inoculato a maggio, e quindi ad aprile non c’era. Ha bluffato. Gli succede spesso.

Ma cosa c’entra Davigo in questa vicenda di Pignatone? Beh, andate a guardare come sono andate le cose per la nomina di Prestipino a Procuratore di Roma. Davigo è per Viola, per la discontinuità. Cioè per uno che non sia legato a Pignatone e al vecchio gruppo. E lancia anche il suo giornale – dico Il Fatto di Travaglio – nella crociata sulla discontinuità. Prestipino no, Prestipino no, Prestipino no. Però a un certo punto… Cosa succede a un certo punto? Non si sa. Neanche i trojan lo raccontano. Certo è che Davigo in prima persona propone la candidatura di Prestipino.

Mette i suoi uomini a disposizione di Pignatone. Ma – sorpresa – i suoi uomini si ribellano. Ardita e Di Matteo si dissociano da Davigo che alla fine si trova da solo – in rottura con la sua corrente – a votare per Prestipino. Ha avuto qualcosa in cambio o è stata proprio una fulminazione ideologica? Chi lo sa. C’entra qualcosa il rinvio della sua pensione e la necessità di poter disporre di un po’ di voti in Csm? Francamente non credo. E allora? Poi c’è l’ultimo capitolo, quello che riguarda Travaglio che ora ha preso coraggio e ha iniziato a picchiare anche lui su Pignatone. Addirittura, con un mesetto di ritardo, si è accorto del trojan che non funzionava quando appariva il nome del Pignatone deus. In realtà a Travaglio Pignatone non è mai stato simpatico. Però un po’ lo temeva. Se ora non lo teme più qualcosa vorrà dire.

P.S. Detto tutto ciò, Prestipino l’ho conosciuto in Calabria. Penso che sia un ottimo magistrato. Un magistrato ottimo che ha ottenuto la nomina con metodi pessimi.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.