Politici innocenti, assolti, archiviati. La lista nera pubblicata lunedì sul Corriere della sera da Pierluigi Battista – una vita in posizioni di vertice a La Stampa, Panorama, Corsera – fa discutere, perché fa male. Vorremmo dire che interroga le coscienze, ma sarebbe illusorio. Interroga la coscienza di qualcuno; per gli altri, quella lunga lista di non colpevoli perde interesse, smentisce il pregiudizio dei pregiudicanti. L’ultimo in termini cronologici è Antonio Bassolino, che ha vinto 19 processi conclusi con «il fatto non sussiste».

Ma dal tritacarne della giustizia nella Seconda Repubblica sono usciti, più o meno malconci, Filippo Penati, Pd, l’ex governatore del Piemonte Cota (Lega), l’ex governatore del Lazio Francesco Storace (centrodestra), l’ex sindaco di Terni Leopoldo Di Girolamo (Pd), l’ex sindaco di Parma Pietro Vignali (civico vicino a Forza Italia). «Assolti Clemente Mastella e la moglie Sandra Lonardo, sottoposta peraltro a forti misure restrittive. Neanche assolto, ma addirittura archiviato prima del processo Stefano Graziano, consigliere regionale del Pd. Assolto Nicola Cosentino, ex re campano di Forza Italia». La lista prosegue con decine di nomi la cui storia invoca una giustizia giusta.

Si è dimesso Gaudio, appena nominato.
E io dico: bisognerebbe scandire un bel “Chi se ne frega”. Aveva l’iscrizione nel registro degli indagati per una accusa che tra l’altro sembra prossima a decadere? Ma chissenefrega. Impariamo a dirlo, quando ci troviamo davanti al nulla. Gaudio non so se sarebbe stato un buon commissario alla sanità, so che essere indagato non può essere oggetto di condanna pubblica preventiva. Ha qualche condanna passata in giudicato? No. E allora di cosa parliamo?

Da dove parte, Battista, questa crociata contro la politica?
Con Mani Pulite. Perché malgrado le correzioni in senso garantista del codice penale, dovute alla riforma di Giandomenico Pisapia, si cominciò a pensare che la semplice iscrizione nel registro degli indagati fosse un atto di colpevolezza. Bastava entrare nel registro degli indagati per doversi dimettere, scusare, scomparire.

L’avviso di garanzia come lettera scarlatta.
E infatti ci fu una catena di dimissioni, immediate. Nel corso degli anni, tutte le persone che magari erano indagate ma poi nemmeno portate a processo, perché non c’erano gli elementi, nei media venne tirato fuori il termine di “coinvolto”. Scrivere: “Nell’inchiesta è coinvolto Tizio” ne comportava la fine della carriera politica, anche se poi penalmente erano fatti irrilevanti o, come spesso è stato, del tutto inesistenti.

Quindi fu un’offensiva mediatica, ad avvelenare il clima?
Dall’offensiva semantica nel linguaggio giornalistico possiamo rilevare il momento in cui si crea quel clima avvelenato. Tra il 1992 e il 1993 nei giornali e nelle televisioni si usa “coinvolto”: si dice “spunta il nome di Caio” per dire che seppur marginalmente citato in una conversazione, qualcosa c’è dietro a quel nome. Non la notizia di un fatto, ma di un sospetto.

Nascono le gazzette delle Procure. Oggi (ieri per chi legge, ndr) abbiamo visto qualcuno che infatti si è inalberato, per quella tua lista di errori giudiziari e di campagne diffamatorie.
Ci sono alcuni che hanno costruito una fortuna su quelle campagne. Hanno cavalcato l’odio sociale dipingendo i politici come Diavoli del male e i magistrati come Angeli del bene. Hanno eretto una barriera manichea, da scontro frontale, diventando acritici fotocopiatori di veline delle Procure e indicando come nemici coloro che invece giustamente si erano dichiarati innocenti o, peggio ancora, garantisti: cioè disposti a sostenere il diritto del dubbio fino a condanna definitiva.

Questo antigiornalismo ha un disegno?
Intanto è un disegno culturale. Una società basata sul sospetto che incentiva il controllo e frena le libertà. La dipendenza dalle fonti delle Procure è il suicidio del giornalismo.

Una volta c’era il segreto istruttorio.
Ma si è trovato il modo di aggirarlo. Perché i magistrati fanno delle ordinanze di custodia cautelare e dentro l’ordinanza, per dimostrare la fondatezza della loro richiesta, ci mettono come documentazione migliaia di pagine di intercettazioni, che a quel punto non sono più coperte da segreto. E le passano ai giornali. Talvolta con un post-it.

Cosa indica il post-it?
Gli stralci da copiare. Quei passaggi più rilevanti di altri ai fini mediatici, magari dove l’intercettato usa parole volgari, o fa riferimenti sopra le righe, si prende la libertà di una battuta. Perché quella roba vende, anche se è solo folclore. Il colore poi a processo si rivela insussistente e l’imputato ne esce pulito, ma intanto il processo mediatico glielo hanno fatto e lui ha perso il posto, in molti casi la famiglia, la salute. E talvolta si è tolto anche la vita.

Scarsa cultura garantista o poca professionalità di certi giornalisti?
Diciamo le cose come stanno: ci sono degli analfabeti giudiziari, a partire dal Fatto Quotidiano. Altrimenti non si giustifica quello che si scrive, perché non voglio credere alla malafede di certi colleghi. Non sanno la differenza tra indagato e imputato, tra imputato e indagato, non conoscono la Costituzione e figuriamoci la procedura penale. Mettono tutto nel calderone e servono in tazza fumante.

L’interferenza tra magistratura e politica ha stravolto la natura della sinistra. Penso soprattutto al Pd, che ha sempre preso le distanze dagli amministratori indagati. Nel Pds c’era una regola nello statuto, all’arrivo dell’avviso di garanzia l’indagato doveva immediatamente autosospendersi dal partito e dagli incarichi.
Il Pd ha sempre abbandonato i suoi, appena la magistratura faceva un passo. Un caso scandaloso fu quello di Del Turco, leader sindacale, uomo colto, un riformista. Venne arrestato di notte come fosse un malfattore e additato al pubblico ludibrio dal Procuratore Trifuoggi, che disse di avere in mano delle prove schiaccianti. Il Pd tagliò i ponti, lo disconobbe. Ma quelle prove erano talmente schiaccianti che la Procura chiese tre volte la proroga dei termini perché non riuscivano a trovare niente. E alla fine venne condannato per una sola delle accuse, perché non si è mai trovata la tangente di cui si parlava.

Il giornalismo d’inchiesta insegna: “follow the money”.
E invece i soldi sono i grandi assenti dai processi. Perché le tangenti indicate nelle roboanti conferenze stampa delle Procure poi non si materializzano. Malgrado le intercettazioni, i sequestri dei Pc, le indagini approfondite della Guardia di Finanza, spesso non si trovano le tangenti e le accuse cadono, senza mai nessuno che si scusi. Da due anni vedo un grande impiego di mezzi per trovare la tangente russa che sarebbe andata alla Lega, e non la si trova.

Le intercettazioni non andrebbero mai usate?
Le intercettazioni portano quasi sempre fuori strada, perché come dicevo puntano al colore. La legge ne impedirebbe la pubblicazione ma si è trovato subito il modo di aggirarla, citando gli atti. Il problema è di cultura giuridica. Il pool Mani Pulite aveva metodi brutali, usava la carcerazione preventiva, ma puntava a trovare le tangenti e a ripercorrerne il percorso. Oggi si montano processi sulle parole, senza preoccuparsi troppo di trovare il denaro.

Dovrebbe esserci un maggior autocontrollo, un richiamo dell’ordine dei giornalisti?
Bisognerebbe imparare a fare questo mestiere. L’Ordine è un orpello fascista che negli altri Paesi democratici occidentali non esiste e non potrebbe esistere. Io lo abolirei.

Le attenzioni selettive seguono piste prestabilite. Figure-chiave. Craxi, Berlusconi, oggi Renzi…
Questa indagine sulla Fondazione Open mi sembra avere un obiettivo curioso: la magistratura vuole definire che cosa è un partito, cos’è una corrente, cos’è una area di influenza. Si sono incaricati di un compito ambizioso e forse un po’ fuori dai loro confini.

Anche sugli imprenditori si potrebbero fare liste di nomi massacrati senza colpa.
Penso a Silvio Scaglia, ma sì: la lista anche in questo caso potrebbe essere lunghissima. Alla famiglia Riva le aziende sono state espropriate, a fronte di niente. Seguo la vicenda di Alfredo Romeo. E adesso vediamo dove porta il filone Autostrade. Imprenditori e manager pubblici chiedono sempre più spesso lo scudo penale, in Italia. E solo in Italia. Perché da noi se non hai garanzie straordinarie non puoi lavorare, hai la certezza sin dall’inizio di finire tra gli ingranaggi di questo meccanismo del fango.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.