Quando martedì ho visto quelle immagini prima su Al-Jazeera e poi su Russia Today – immagini che non ho trovato sulle canoniche Cnn di sinistra e su Fox News di destra, ho capito che qualcosa di molto grosso bolliva in pentola. Ma ancora lo spoglio doveva cominciare, tutti speravamo che vincesse il nostro favorito, lasciate perdere quale (ognuno ha il suo) e abbiamo cominciato a vedere questo spettacolo mai visto non soltanto nella storia americana, ma in alcuna storia elettorale del mondo. Più di cento milioni di persone avevano votato per posta su appositi moduli firmati e controfirmati, ma di fatto anonimi e la cui privacy non è garantita da nulla e da nessuno. Chiunque può aver riempito quelle schede allegando i dati anagrafici. Cento milioni e passa. In America sono talmente scrupolosi nella loro storia elettorale che ti chiedono di dichiarare la tua intenzione di usare il tuo diritto di voto. Non solo nessuno ti costringe, ma devi attivarti e iscriverti.

E puoi iscriverti anche nelle liste del partito che intendi votare – democratici, repubblicani o indipendenti – oppure non dichiarare nulla. Si formano comitati, festicciole di amici: il voto americano è il più grande party democratico della più grande democrazia di tutti i tempi e sempre con la stessa Costituzione. E con le stesse leggi, perché la Confederazione fu fondata da intellettuali illuministi che conoscevano il mondo, alla fine del Settecento quando tutti i voti si portavano a cavallo, in carrozza, quando il nuovo presidente per andare a Philadelphia e poi a Washington doveva attraversare fiumi, praterie, boschi e laghi. I lettori a questo punto hanno diritto di reclamare: ma quali erano le immagini che ti hanno tanto colpito e in che relazione sono con questo spoglio delle schede che sarà troppo lungo per non mettere in crisi il sistema?

Le immagini erano state riprese in quasi tutti gli stati del Sud, nel Midwest, nel New England lungo la costa atlantica e la West Coast sul Pacifico. Ho visto – potete farlo anche voi con una facile ricerca – dei veri anche se piccoli eserciti in marcia, carichi di armi leggere e pesanti, pelle di tutti i colori, suprematisti neri e suprematisti bianchi – per così dire – con la stessa mitragliatrice. Gruppi armati di giovani bianchi e neri e latinos insieme, tutti energumeni, tutti pieni di mitragliatori, coltelli, pistole, tutti palestrati e travestiti da guerriglieri, i quali hanno cominciato a sfidare le forze dell’ordine concedendosi però ai giornalisti: “Che cosa volete fare?”. Risposta: la guerra. Sembra che ci sarà una guerra e noi vogliamo solo uccidere per difendere la nostra libertà. “Ma lei è nero come il carbone e si muove in coppia con questo biondo slavato che sembra un fantasma”. “Non ci interessano le razze. È ora di difenderci e di uccidere, ma con calma”. Ho pensato che fossero dei normali pazzi come tanti in America. Ma perché solo la televisione americana del Qatar e quella russa di Mosca (entrambe perfette come la Cnn e Fox) diffondono questo servizio? Poi è cominciata la notte che ho passato partecipando a Quarta repubblica di Porro, con una troupe in casa fino alle sei di ieri mattina e con i risultati che sappiamo: nulla di fatto, i due candidati si rincorrono per manciate di voti di grandi elettori, ma quando un risultato sembra raggiunto ecco che arriva una camionata di schede votate per posta che cambiano tutto.

E allora ti accorgi che ciò che sta accadendo non è casuale ma causale. Era tutto previsto e nella previsione c’è anche uno scontro che potrebbe tagliare l’America in due e dividerla come accadde durante la guerra civile che si combatté mentre avveniva l’unità d’Italia. Gli americani sparano tutti, anche i miti democratici non hanno mai meno di due pistole perché non si sa mai. Sparare è un dovere e un piacere da queste parti in cui la domenica si usa allestire grandiosi picnic in cui le nonne arrostiscono quarti di bue mentre i maschietti imparano con il papà l’uso della Browning da nove millimetri come faceva il senatore Ted Cruz che pubblicava il video di lui che cuoceva il bacon sulla canna infuocata della sua mitraglietta da giardino. Tutti quegli armati che ho visto in televisione dicevano tutti: abbiamo il secondo emendamento che ci impone di difendere la nostra libertà dalla tirannia e dunque queste armi sono le armi della democrazia.

E allora facciamo qualche passo indietro. Quando Trump faceva il gradasso sul Covid – benché confidasse al giornalista premio Pulitzer Bob Woodrow di essere terrorizzato dal Covid che definiva con lui al telefono un mostro orrendo – usciva all’aperto e spiegava alle folle che questo famoso Covid non era nulla, poco più d’un raffreddore. Mentiva sapendo di mentire, ma certamente mentiva sapendo perché mentiva. Stava cercando di smontare “the narrative” dei congiurati che gli stavano preparando il piattino elettorale che abbiamo visto ieri. Bob gli diceva: “Mister President, why did you lie to everyone, perché hai mentito a tutti?”. E Trump – c’è tutto in Internet e nel libro appena uscito di Woodrow che si chiama Rage, rabbia – rispondeva: «Vedi Bob, devo mentire perché se non lo facessi manderei il Paese nel panico e invece io devo tutelare il Paese dal panico». Finì che Bob pubblicò tutto e Donald disse che quel cialtrone si era inventato tutto. Naturalmente era tutto vero. Ma che cosa significava allora la bugia di Trump? Significava che era stato informato del piano del circolo Obama-Clinton: portare alla Casa Bianca una donna di colore, facendola precedere da un vecchio insignificante ma presentabile e che però, proprio per essere poco significante doveva essere aiutato. Come? Il Covid è la nostra carrozza, dicevano gli strateghi del fronte democratico: dobbiamo dire che i cittadini non possono esporre la propria incolumità recandosi alle urne e che hanno diritto a votare per posta.

Già in passato e in un numero limitato di Stati era consentito agli inabili, malati o anche ai più pigri di votare per posta, ma era poca roba e considerata non del tutto onorevole proprio perché negli States il rito delle elezioni è qualcosa di intimo e pubblico, personale e patriottico, ma prima di tutto collettivo e visibile. Trump, che non è scemo e che aveva da tempo mangiato la foglia, dette furiosamente battaglia: «Io non concederò un dollaro per ricostruire gli uffici postali fatiscenti e chiedo che ogni cittadino voti di persona con la sua faccia e il suo documento d’identità». Gli risposero che era evidentemente un pazzo furioso e che soltanto un ricco gaglioffo cinico ed egoista poteva imporre alla povera gente di andarsi a contaminare e morire per infilare la scheda nell’urna. Ma i dem fecero causa e i loro giudici approvarono le loro aspettative affermando che si poteva votare per posta ovunque, con un sistema di moduli prestampati, da imbustare in un’altra busta: “non preoccupatevi, abbiamo i nostri addetti che vi aiuteranno sia a votare che a mandare a casa Trump”. A quel punto Trump decide di forzare i tempi per cautelarsi nel caso in cui il piano dei dem per truccare le elezioni finisse nei tribunali il cui arbitro finale è la Corte Suprema. E nomina perciò la cattolica (parzialmente antiabortista perché sostiene che l’aborto chi lo vuole se lo deve pagare in proprio) Amy Coney Barrett che va a riempire il posto lasciato vacante dalla mitica – per la sinistra – giudice Ginzburg che aveva per tutta la vita dato ragione ai liberal in tutte le controversie non solo sui diritti civili, ma in quelli di genere, identità sessuale e razza, comprese le norme secondo cui nei bagni pubblici si apre la porta del gabinetto che corrisponde alle tue fantasie e non alla tua anatomia.

La risposta di Trump era chiara: se volete giocarmi lo scherzo dei voti spediti per posta con cui ribaltare una mia vittoria, vi dico in anticipo che lotterò fino alla vittoria e che alla fine la Corte Suprema mi darà ragione perché io ho la maggioranza. Mentre scrivo questo articolo (le ore 17 di ieri, ndr.) vedo che il testa a testa è di nuovo a favore di Biden che guida il voto popolare, quello in cui si sommano tutti i voti, e anche quello dei grandi elettori che sono numeri fissi per ogni Stato. Ma abbiamo notato che la Cnn, che fiancheggia apertamente i dem tanto quanto Fox News di Murdoch è portavoce di Trump, ritardava l’emissione dei dati e tutti gli analisti parlavano di riunioni segrete nel quartiere generale di Biden dove era stata preparata una festa fantamilionaria che invece è stata cancellata nella notte. Trump non molla e non concede la vittoria a Biden il quale del resto è stato istruito da Hillary Clinton affinché non riconoscesse mai la propria sconfitta. Che cosa succederà oggi e domani? Lo vedremo, ma di sicuro le aree di contestazione cresceranno ogni giorno, man mano che i risultati saranno uno dopo l’altro capovolti. Tutto questo accade a causa dello spoglio delle schede spedite e raccolte da una volenterosa confraternita di democratici che si sono di fatto impossessati dell’armeria elettorale e delle sue munizioni. Trump ha convocato una conferenza stampa per dire che non molla e Biden fa altrettanto, mentre nell’ombra si scalda Kamala Harris, la vicepresidentessa che ha il colore leggermente ambrato del padre funzionario inglese in India ma che si spaccia per “negroe”.

Questa parola interdetta fu realmente pronunciata da Biden al momento della nomina quando disse che per numero due nel suo team “I need a negroe”, mi serve un “negro” e poi aggiunse: “Anzi, meglio se è una negra”. Testuale. Fu servito subito. A margine, ma anzi proprio al centro, voglio suggerire ai lettori di andarsi a vedere il numero da ubriaco che ha fatto Obama avendo al fianco il derelitto Biden in un campo di basket, quando mostrandosi come un atleta fichissimo ha lanciato la palla nel cesto urlando scompostamente e poi ha fatto le imitazioni di Trump e si è trascinato per un braccio il disgraziato Joe su un podio dove sembrava letteralmente ubriaco e urlava con una voce arrochita che non gli conoscevamo: “Ma chi è questo Trump? Non è uno della nostra famiglia? È un pazzo, è come avere lo zio scemo che nessuno può controllare, dobbiamo metterlo fuori da casa nostra” e scuoteva il povero Biden dagli occhi velati dall’età e il passo incerto. Come si vede, questa storia non finirà per molto tempo e personalmente sono sicuro che entreranno in scena molti gruppi armati, fra cui quelli che già hanno compiuto devastazioni come gli “Antifa” (antifascisti) e le frange insurrezionali che si nascondono sotto le innocue bandiere di “Black lives matter” che hanno già mandato in estasi milioni di afroamericani che non volevano vedersi coinvolti nelle loro imprese insurrezionali con saccheggi e incendi.

Dall’altra parte, manipoli interrazziali di bianchi, neri e latinos che sembrano dalla parte di Trump e che non vedono l’ora di sparare. Dunque, senza esagerare, possiamo dire che gli Stati Uniti si trovano sul bordo di una guerra civile come quella della secessione dei Confederati schiavisti o dopo l’invio delle truppe nel Sud per costringere i democratici schiavisti a finirla con la vergogna della segregazione razziale che è durata fino al presidente Lindon Johnson, il successore di Kennedy morto (assassinato) troppo presto per attuarla e forse morto proprio per il desiderio di attuarla. L’America non è facile, è difficilissima, sta su un altro pianeta ed è un caleidoscopio indecifrabile per i nostri stanchi occhi europei. È d’obbligo concludere con: uno, continua.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.