Uno Stato ‘cuscinetto’ tra Mosca e il resto dell’Europa, guidato da un governo filo-russo che riconosca l’indipendenza, o per meglio dire la dipendenza dal Cremlino, della Crimea e del Donbass.

Sono queste le richieste avanzate anche ieri nel terzo round di negoziati tra la delegazione diplomatica ucraina e russa. Un nuovo vertice che “non è stato all’altezza delle aspettative” di Mosca, ha riferito il capo negoziatore russo, Vladimir Medinsky precisando che i negoziati continueranno.

Un quarto round ci sarà “molto presto”, ha aggiunto il negoziatore russo Leonid Slutsky, esprimendo la speranza che ci siano dei risultati ma confessando di non farsi illusioni che si raggiunga un risultato finale alla prossima occasione.

Posso dire che siamo giunti con una grande mole di documenti scritti“, ha spiegato ancora Medinsky, “avevamo accordi specifici, bozze, proposte e speravamo di firmare oggi alcuni dei punti che sembrano essere stati concordati nel principio, che avremmo almeno firmato un protocollo“. “Ad ogni modo, la delegazione ucraina ha preso tutti questi documenti per poterli leggere a casa“, ha aggiunto il negoziatore russo, “non potevano firmare niente sul posto e hanno detto che ritorneremo sulla questione, probabilmente la settimana prossima”.


Dopo il terzo round di negoziati  la Russia ha promesso un cessate il fuoco per consentire l’evacuazione dei civili in cinque città ucraine: Kiev, Chernihiv, Sumy, Kharkiv e Mariupol. Una tregua che dovrebbe scattare alle 10 ora locale, ma non c’è grande fiducia sul mantenimento della promessa, visti i precedenti degli ultimi giorni.

Da parte ucraina Mykhailo Podolyak ha commentato l’incontro come un vertice in cui ci sono stati “piccoli ma positivi” passi in avanti. In realtà è stato poi il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a ribadire come le condizioni poste dal Cremlino siano inaccettabili, chiarendo in una intervista all’emittente americana Abc di non poter accettare “”ultimatum” per fermare l’invasione.

La Russia infatti per fermare le ostilità pretende di fatto che l’Ucraina diventi uno Stato-vassallo. Le condizioni sono ormai note, ma altrettanto noto che almeno per ora da Kiev sia sempre stato opposto un secco ‘no’. Per Putin è necessaria quella che lo Zar definisce “denazificazione e smilitarizzazione” dell’Ucraina, ovvero le dimissioni di Zelensky con l’instaurazione di un governo amico e la resa militare delle forze armate di Kiev, oltre al riconoscimento della sovranità russa sulla Crimea e dell’indipendenza delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk.

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Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia