Il dibattito sulla responsabilità professionale
Quando Giovanni Falcone criticò le toghe e l’Anm lo bastonò
Accolgo volentieri l’invito del Riformista a partecipare al dibattito sulle valutazioni di professionalità dei magistrati avvenuto su questo giornale nei giorni scorsi. Dibattito cui hanno contribuito avvocati delle Camere penali ed un magistrato di grande esperienza ed ex componente del Csm, Nello Rossi. Da entrambe le parti si segnala l’inattendibilità di quelle valutazioni e l’esigenza di riformarle al fine di meglio garantire la qualità della giustizia ai cittadini e l’efficienza della giustizia. Difficile non essere d’accordo con loro.
I dati delle ricerche da me condotte analizzando i verbali del Csm a partire dagli anni 1960, dati periodicamente da me pubblicati, mostrano che la percentuale dei magistrati valutati positivamente ha variato tra il 99,1% ed il 99,5%. Di regola, cioè, negli ultimi 50 anni il Csm ha deciso di sua iniziativa (non lo prevede nessuna legge) di promuovere tutti i magistrati fino al vertice della carriera in base all’anzianità salvo i casi di grave e documentato demerito (come le più elevate sanzioni disciplinari o condanne penali). Anche i pochissimi magistrati che vengono “bocciati” di regola vengono poi promossi con due o tre anni di ritardo. Non avviene in nessun altro paese europeo con magistrature reclutate burocraticamente (non in Francia, non in Germania, non in Olanda, non in Spagna, ecc,) che sono tutte più efficienti della nostra. Solo una coincidenza?
Molte sarebbero le cose da aggiungere sulle modalità con cui il Csm (non) effettua le valutazioni di professionalità. Ne segnalo solo due. Una riguarda la modalità con cui il Csm valuta e promuove i magistrati fuor ruolo e l’altra il contenuto delle valutazioni positive. Quanto al primo aspetto occorre ricordare che sono stati sistematicamente valutati positivamente e promossi numerosi magistrati che non avevano esercitato funzioni giudiziarie per molti anni, a volte decenni (parlamentari, titolari di incarichi amministrativi, e altro). Ciò facendo il Csm, nella frenesia di promuovere tutti, ha implicitamente, ma chiaramente, affermato, che nel nostro Paese neppure l’esperienza giudiziaria è più necessaria per ottenere valutazioni positive e fare carriera in magistratura.
Quanto al secondo aspetto: avendo personalmente letto molte centinaia di valutazioni di professionalità dei magistrati nel corso delle mie ricerche e della mia esperienza di consigliere del Csm, non posso non essere d’accordo con quanto scritto nel suo articolo dal magistrato Nello Rossi quando dice: «Dalle valutazioni di professionalità i magistrati emergono quasi sempre come puntuali, laboriosi, competenti, addirittura geniali. È perciò legittimo chiedersi perché nelle valutazioni di professionalità non affiorano quei profili critici del modus operandi di alcuni giudici e pubblici ministeri che in molti conoscono e di cui molto si parla negli uffici giudiziari…».
Nei loro articoli né il presidente della Camere Penali, Gian Domenico Caiazza né il magistrato Nello Rossi offrono credibili proposte di riforma. In particolare, nessuno dei due ci dice come superare il principale ostacolo alla riforma da loro auspicata che deriva dallo stretto collegamento che esiste tra valutazioni della professionalità e trattamento economico dei magistrati. Per spiegare di cosa si tratta dobbiamo ricordare che fino agli anni 1960 l’assetto della carriera dei nostri magistrati era simile a quello degli altri paesi dell’Europa continentale riguardo alle valutazioni di professionalità ed allo svolgimento della carriera: non potevano essere promossi ai livelli superiori della carriera un numero di magistrati superiore al numero limitato dei posti che si rendevano vacanti ai livelli superiori della giurisdizione.
Di conseguenza le valutazioni dovevano essere di necessità reali e selettive. Solo un numero molto limitato di magistrati poteva raggiungere i livelli più elevati della carriera e del trattamento economico: i dati da noi raccolti per il decennio 1952-62 mostrano infatti che più della metà dei magistrati (il 52,2%) andava in pensione senza aver superato il livello intermedio della carriera (quello di magistrato d’appello) e del relativo trattamento economico. Negli altri paesi europei con reclutamento burocratico simile al nostro l’assetto delle valutazioni e della carriera è ancora quello. Da noi invece, a partire dagli anni 1960, il Csm ha deciso di sua sponte (non lo prevede nessuna legge) di promuovere ai vari livelli della carriera tutti i magistrati in base all’anzianità e, al contempo, di attribuire loro un trattamento economico che di regola consente a tutti di raggiungere, nel corso degli anni, anche il livello più elevato del trattamento economico. In altre parole il Csm assicura a tutti i magistrati di raggiungere, nella parte finale della loro carriera, uno stipendio mensile netto di oltre 8000 euro per 13 mensilità, con i conseguenti vantaggi che questo comporta per i livelli delle liquidazioni e delle pensioni.
Proporre di rendere più rigorose le valutazioni di professionalità vuol quindi anche dire che una parte dei magistrati non potrebbero più raggiungere i livelli più elevati della carriera e della retribuzione. Chi propone riforme di questo genere dovrebbe anche indicare come si potrebbe convincere la magistratura a rinunziare ai vantaggi dell’attuale sistema e convincere il Csm ad essere più rigoroso nelle sue valutazioni a dispetto della suo attuale assetto, un assetto in cui la maggioranza dei componenti magistrati sono eletti con l’appoggio delle varie correnti del sindacato della magistratura e quindi comprensibilmente contrari a contrastare le consolidate aspettative dei propri associati (ed anche le proprie).
A riguardo di queste difficoltà è forse significativo ricordare che di regola i soli magistrati che criticano il sistema di valutazione della professionalità e le disfunzioni che ne derivano sono magistrati già andati in pensione o già al vertice della carriera. I magistrati che hanno osato farlo anzitempo sono stati poi osteggiati dall’Anm e penalizzati dal Csm. Solo due esempi. Quelli di Giovanni Falcone e di Corrado Carnevale. Corrado Carnevale venne denunziato per vilipendio della magistratura dalla procura di Agrigento e certamente fu poi in vario modo osteggiato nella sua carriera dal Csm. Giovanni Falcone subì una dura reprimenda da parte del Direttivo centrale dell’Anm (Bollettino della Magistratura, ottobre 1988) per aver ricordato, in un suo scritto, che gli automatismi di carriera «sono causa non secondaria della grave situazione in cui versa attualmente la magistratura. La inefficienza dei controlli sulla professionalità cui dovrebbero provvedere il Csm ed i consigli giudiziari, ha prodotto un livellamento della magistratura verso il basso». Come si sa anche la carriera di Falcone fu gravemente penalizzata dal Csm in varie occasioni nonostante l’elevata professionalità che gli veniva riconosciuta anche a livello internazionale.
Una postilla. Tutti coloro che sono stati componenti del Csm, tranne me, hanno contribuito col loro voto ad effettuare valutazioni positive della professionalità generalizzate (circa 4000 per ogni consiliatura). In rare occasioni alcuni componenti si sono opposti. Ne voglio ricordare una avvenuta nel corso di una delle centinaia di sedute del Csm cui ho assistito prima di divenire Consigliere e che riguarda proprio il dott. Rossi. Nella seduta del 7 aprile 2000 egli si oppose ad una promozione esibendo una sentenza del candidato che era scritta con calligrafia quasi illeggibile, con numerose cancellature e scarsamente e motivata.
Venne accusato da altri consiglieri togati di avere indebitamente criticato il contenuto di una sentenza e rimase in assoluta minoranza. Il Dott. Rossi meglio di altri dovrebbe quindi conoscere le difficoltà di modificare il sistema delle valutazioni ed anche la limitatissima efficacia che potrebbero avere le proposte di riforma che egli fa nel suo articolo.
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