Una vita criminale trascorsa quasi tutta in carcere
Raffaele Cutolo in ospedale, l’unica richiesta dell’ex boss: “Fatemi abbracciare mia figlia”

Appena pubblicata la notizia della telefonata, attraverso i tabulati del gestore telefonico, si riesce a risalire all’utenza da dove ha chiamato. Il 19 maggio il boss della Nco viene arrestato. Da quel momento non lascerà più il carcere. Resta per qualche mese a Poggioreale e da qui trasferito nel “supercarcere” di Marino del Tronto dove, però, ha a disposizione una specie di suite, un paio di segretari e dove riceve quotidianamente visite e addirittura gli viene portato il pane fresco dai picciotti da Ottaviano. Oramai ha grosse disponibilità di denaro e compra il casino di caccia mediceo di Ottaviano per 270 milioni. Durante un processo nel quale è imputato assieme ad alcuni camorristi e al figlio che ha appena riconosciuto, riceve l’omaggio di un calciatore dell’Avellino, Juary e del suo presidente, Sibilia. Scoppia la guerra nella camorra. Cutolo pretende dai contrabbandieri diecimila lire per ogni cassa di sigarette di contrabbando scaricata sulla costa campana. Il rifiuto è netto, allora i cutoliani tentano di uccidere il nipote del boss Michele Zaza, che viene solo ferito. Correva l’anno 1979 e la reazione è violenta.
Viene costituita una associazione fra gli anti-cutoliani, La nuova famiglia, e i morti ammazzati si contano a centinaia. In quattro anni saranno un migliaio le vittime di questa “guerra”. Cutolo, comunque, è al massimo del potere camorrista . Così nell’81, quando viene rapito dalle Br Ciro Cirillo, l’assessore regionale della Dc, si mettono in moto politica, servizi segreti e camorristi: tutti per ottenere la liberazione dell’ostaggio, che avverrà dietro il pagamento di un riscatto di 1450 milioni. Si interessa anche di Roberto Calvi e la sua cella viene perquisita durante il sequestro del generale Usa Dozier. Comincia, proprio da questi contatti con la politica, la parabola discendente. Vengono pubblicati articoli che descrivono la sua cella e i privilegi di cui gode a Marino del Tronto e il presidente Pertini lo fa trasferire a l’Asinara. Sposa Immacolata Iacone, conosciuta nel carcere marchigiano.
Nel 1983, però, due fedelissimi, Barra e Pandico, diventano pentiti. Finiscono dietro le sbarre circa 850 persone (tra cui Enzo Tortora), nonostante i tanti difetti (e assoluzioni) il blitz segna la fine della sua organizzazione. Ottiene il permesso per fare la fecondazione artificiale nel 2001 e la moglie dà alla luce una bambina, Denise. Nel corso degli anni gli vengono dedicati numerosi libri. Uno, “Il camorrista”, di Giuseppe Marrazzo (dal quale è tratto il film di Tornatore) lo fa inferocire perché contiene la perizia in cui si parla di suo padre alcolizzato. Il viale del tramonto è costellato di testimonianze, di cose dette e non dette nei processi. Poi arriva la canzone, don Raffaè, di Fabrizio De André. “Ah, che bello ‘o café, come in carcere lo sanno fa…”. Il carcere? “Non lo lascerò mai – disse anni fa in un processo – perché così muore un camorrista”.
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