Nella lunga “requisitoria” che ha avuto come sfondo la “stazione radio” della Leopolda edizione numero 11, il senatore Matteo Renzi ha promesso e anticipato di «non vedere l’ora che si apra il dibattimento in aula perché alla fine di ogni udienza chiederà di intervenire e di fare le mie legittime dichiarazioni spontanee». Ma quel processo – che tecnicamente invece inizierà tra mesi – è già in corso.  Nelle sedi proprie ed istituzionali qual è la Giunta delle autorizzazioni del Senato. È a palazzo Madama infatti che il senatore Renzi ha voluto ingaggiare la sua prima battaglia. Procedurale e sostanziale. Ovvero che la procura di Firenze avrebbe commesso irregolarità indagando sulla Fondazione Open, per anni la cabina di regia dei meeting renziani alla Leopolda, accusandola di essere «un’articolazione di partito» e quindi lo strumento del finanziamento illegittimo della politica. Che ci sarebbe stata «un’invasione di campo da parte del potere giudiziario rispetto a quello legislativo». Che i pm toscani, insomma, avrebbero fatto polpette di Montesquieu, dello “Spirito delle leggi” e dei suoi principi.

Renzi sarà sentito domani (ore 16) in Giunta a Sant’Ivo alla Sapienza. Vediamo come andrà. Ma tutto questo processo nel processo potrebbe risolversi in un conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale con il sospetto che il potere giudiziario abbia fatto un’invasione di campo nel potere legislativo. Qualcosa che non deve succedere. Non si tratta di questioni di principio ma di democrazia. Perché oggi tocca a Renzi ma domani può toccare a qualunque altro parlamentare della Repubblica. L’inchiesta Open è iniziata (o almeno è diventata pubblica) nel 2019, pochi giorni dopo la scissione e la nascita di Italia viva. I dodici indagati, tra cui Renzi, Lotti e Boschi, dovranno rispondere di finanziamento illecito alla politica. Qualcuno tra gli indagati ha anche l’ipotesi della corruzione: le donazioni di privati (tutte tracciate e bonificate) alla Open sarebbero state un modo per favorire gli interessi di alcuni gruppi e aziende. Un paio di mesi fa c’è stato l’avviso di chiusura e il deposito degli atti tra cui l’ormai famosa informativa della Guardia di finanza di 92 mila pagine. Molto, seppure senza rilevanza penale, è già stato pubblicato. In pratica un lungo retroscena politico su cosa succedeva tra i renziani dal 2016 – anno del referendum – fino al 2019: tattiche, strategie, valutazioni sui vari voti in aula, insomma, trattandosi di tre parlamentari, atti che dovrebbero essere coperti dall’articolo 68 della Costituzione che regola e tutela l’immunità degli eletti.

Leggendo le 92 mila pagine Renzi e i suoi avvocati hanno colto quelle che definiscono una lunga serie di “irregolarità”. Il 7 ottobre il leader di IV ha scritto al presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati, ha elencato tutti i suoi dubbi circa la regolarità delle indagini e ha chiesto di investire la Giunta per avere una parola finale sul tema sollevato: avevano diritto i pm fiorentini di acquisire dati sensibili – come lo sono le corrispondenze anche digitali- su alcuni parlamentari senza chiedere l’autorizzazione alla Camera di appartenenza? La presidente Casellati non ha potuto fare altro che trasmettere la lettera al presidente della Giunta Maurizio Gasparri (Fi) il quale, a sua volta, ha incaricato la senatrice Fiammetta Modena (Fi) di studiare il caso e presentare una prima relazione. Che in cinque pagine, tra riferimenti giurisprudenziali e citazioni di sentenze, spiega perché il caso sollevato dal senatore Renzi ha una sua pertinenza su cui solo la Corte Costituzionale, affrontando il nodo del conflitto tra poteri, può dire l’ultima parola.

La relatrice si è mossa su un terreno inedito e insidioso perché la Giunta è stata investita del caso «su richiesta del senatore Renzi e non perché ci ha coinvolto la procura di Firenze». La Giunta, per farla breve, non ha documenti a disposizione, «solo qualche riga dell’informativa della Guardia di finanza che tutti sembrano avere tranne noi, alcuni passaggi della memoria del Pm davanti al Tribunale del Riesame». Da questi pochi elementi – anche la difesa di Renzi ha prodotto solo una memoria – emerge però che «negli atti depositati con la chiusura delle indagini siano presenti atti di corrispondenza, tra cui l’estratto conto, tra il senatore e soggetti terzi quale il dottor Marco Carrai». La giurisprudenza in materia è chiara: se il conto corrente bancario può essere acquisito senza previa autorizzazione del Senato, tutte le corrispondenze che coinvolgono un parlamentare devono essere autorizzate prima di essere utilizzata dalla polizia giudiziaria e dalla magistratura.

Renzi sarà sentito domani pomeriggio. E, possiamo immaginare, sarà già un pezzo del processo. «Rinuncio all’immunità e non vedo l’ora che inizi il processo» ripete il leader di IV. Difficile che la Giunta tra legge di Bilancio, elezioni del Presidente della Repubblica e feste di Natale possa votare prima di febbraio. In questa prima battaglia dovrebbe “vincere Renzi”: 14 membri (3 Fi, 6 Lega, 2 Fdi, 2 Iv, uno delle Autonomie) su 23 dovrebbero essere a favore del conflitto davanti alla Corte costituzionale. C’è il grande tema di cosa farà il Pd che ha un solo membro in Giunta (senatrice Rossomando, orlandiana doc). Il senatore Grasso (Leu, ex presidente del Senato) si è già espresso presentando una pregiudiziale di competenza ma gli hanno votato contro. La Giunta è competente e chiederà quindi all’aula del Senato di portare la questione alla Consulta. Chissà quanto tempo servirà. Certo, se dovesse andare così, la difesa del senatore Renzi e degli altri indagati sarebbe già impostata: la Fondazione Open non è stata un’articolazione di partito ma un soggetto di promozione di eventi a sfondo socio-culturale. Come le tante altre fondazioni, del resto.

Il primo atto di questo lungo processo è stato sabato pomeriggio alla Leopolda. Un’ora e dieci minuti di monologo in cui Renzi, davanti a tremila persone, aiutato qua e là da qualche foto, ha spiegato davanti al suo popolo che chiede di sapere e conoscere «perché non ho commesso alcun tipo di reato» e perché «ci vogliono processare perché abbiamo fatto politica». Una requisitoria e non un’arringa, un atto di accusa e non a difesa che può essere diviso in tre parti: perché l’accusa di finanziamento illecito è «infondata»; perché sono stati «violati i diritti dei parlamentari»; lo «sputtanamento mediatico» grazie al trucco della «pesca a strascico». E poi «l’analfabetismo politico» di chi fa le indagini. La requisitoria del leader di Iv, dove le battute sono servite a coprire momenti di rabbia e emozione, era stata preceduta da una sessione di dibattito e interventi dedicati alla giustizia.

Sul palco della Leopolda sono intervenuti il professor Cassese e il magistrato Nordio, l’avvocato Maria Bernardini de Pace e il presidente delle Camere Penali Gian Domenico Caiazza, l’ex direttore del Mattino Alessandro Barbano e l’onorevole Enrico Costa, responsabile Giustizia per Azione. Un unico filo conduttore: troppo potere ai pm e troppe poche responsabilità. Inevitabile che domenica l’Anm abbia alzato la voce in difesa dei colleghi della procura di Firenze.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.