Matteo Renzi deve cambiare urgentemente il proprio referente in Commissione giustizia alla Camera in quanto l’attuale, Cosimo Ferri, è in “plateale conflitto d’interessi”. La richiesta è arrivata lo scorso fine settimana dalle toghe progressiste con un duro comunicato che ha messo nel mirino Ferri, parlamentare di Italia viva e componente della Commissione giustizia di Montecitorio. “Apprendiamo dalla stampa che al tavolo dei partiti di maggioranza che discutono con la ministra Cartabia la riforma del Csm è costante ed attiva la presenza di Ferri, magistrato in aspettativa per il mandato elettorale, già segretario di Magistratura indipendente (la corrente di destra, ndr) e componente del Csm per quella corrente”, esordisce la nota del coordinamento di Area democratica per la giustizia, diretto dal pm romano Eugenio Albamonte.

Il “conflitto d’interessi” di Ferri deriverebbe dal fatto che essendo sotto procedimento disciplinare si trova a decidere sulla modalità di composizione del Csm che dovrà giudicarlo. I magistrati progressisti ricordano che Ferri, favorevole al sorteggio, “insieme a Luca Lotti ed altri magistrati, tra i quali Luca Palamara, ha partecipato alla riunione notturna all’Hotel Champagne di Roma, nella quale si discuteva di chi nominare all’incarico di procuratore di Roma e di altre Procure, secondo logiche spartitorie e con l’intenzione di condizionare il Csm nelle sue decisioni in funzione di interessi personali e specifici di alcuni partecipanti alla riunione”. Il procedimento disciplinare in corso a Palazzo dei Marescialli, scaturito da quei fatti, risulterebbe poi rallentato da numerose questioni procedurali, avanzate dallo stesso Ferri, tra le quali “un conflitto di attribuzioni fissato dalla Corte Costituzionale per il 14 settembre che rischiano di posticipare la decisione di fronte al prossimo Consiglio”.

Il Csm, sottolineano le toghe di Area, “che verrà eletto in base alle nuove regole che si vanno delineando e che verrà riformato in base alla legge in discussione al tavolo politico nel quale Ferri è così attivo». Il comunicato prosegue con l’avviso a Renzi: «Siamo fortemente preoccupati da questo plateale conflitto di interessi e ancor più dal fatto che l’ambiente politico non ne abbia tratto le doverose conseguenze. Non solo da parte del partito, nel quale Ferri milita, ma anche degli altri partiti di maggioranza che siedono al tavolo senza rilevare la grave inopportunità”. “Siamo assolutamente convinti – concludono le toghe – che una netta separazione dalla politica e dai partiti sia indispensabile per consentire alla magistratura di recuperare credibilità e non ricadere in prassi esecrabili. Ma in questo caso vi è ben di più di una impropria sovrapposizione di ruolo nella stessa persona”. Immediata la replica di Ferri.

“Trovo sconcertante che Albamonte, con cui ho lavorato quando ero componente del Csm (Albamonte è stato magistrato segretario a Palazzo dei Marescialli, ndr), e di cui ho potuto constatare il modus operandi, si sia preoccupato della mia presenza in una riunione politica di maggioranza e si sia sentito legittimato a sindacare il mio ruolo di parlamentare eletto dal popolo”. “Un’invadenza di una corrente della magistratura – prosegue Ferri – sull’attività politica che ritengo gravissima, anche perché il sottoscritto è pienamente legittimato a stare a quel tavolo e a svolgere il ruolo di legislatore che riconosce la Carta Costituzionale. È singolare inoltre che sia a conoscenza della data d’udienza fissata dalla Corte Costituzionale relativo al conflitto di attribuzione sollevato dal Csm nei confronti della Camera, data che il sottoscritto, seppur indirettamente interessato, non la conosceva”. “Scriverò nei prossimi giorni al presidente della Camera perché ritengo che si debba stigmatizzare questa invadenza e ristabilire il giusto equilibrio e rispetto tra poteri dello Stato”, conclude Ferri.

Oltre ad inviare una missiva a Fico, Ferri potrebbe però ricordare ai suoi colleghi in toga che nella scorsa legislatura erano all’ordine del giorno le “interlocuzioni” fra Donatella Ferranti, consigliere di Cassazione e all’epoca presidente della Commissione giustizia di Montecitorio del Pd con lo zar delle nomine. Oggetto di queste interlocuzioni, su cui nessuno ha mai battuto un ciglio, la scelta del futuro capo in Cassazione della parlamentare. “La Cassazione è veramente un problema serio! Buona giornata un abbraccio Donatella”, scriveva Ferranti, esponente delle toghe progressiste a Palamara. “Luca ho saputo tuo ruolo garanzia… ti fa onore e ci conforta… ti suggerirei se posso di tenere un po’ tutto insieme con primo presidente e procuratore generale dove il binomio Carcano (Domenico, togato progressista, ndr)/ Fuzio (Riccardo, togato della corrente di Palamara, ndr) sarebbe serio ed equilibrato. Altre fughe in avanti mi sembrano pretestuose”, puntualizzava la magistrata, ottenendo dallo zar la risposta: “Siamo d’accordo su tutto”. Palamara, però, poi tirò il pacco alla presidente della Commissione giustizia, votando il candidato di Mi, Giovanni Mammone, e non il candidato progressista che gli era stato caldeggiato.