Per Trump è “molto più a sinistra di Sanders”. Esagera ma non senza argomenti da addurre. Per i radical che hanno storto il naso quando Biden se l’è scelta come vicepresidente invece resta “Top Cop”, come la chiamavano quando era procuratrice generale della California: il capo delle guardie. Capita che anche loro possano squadernare esempi validi per giustificare il loro pollice verso. La sinistrissima Top Cop è Kamala Harris, il vero pezzo forte del tandem democratico che sfida il presidente uscente. Un listone di primi posti da fare impallidire i più ricchi Palmarès: la prima afroamericana che corre per la vicepresidenza (e la terza donna), la prima americana di discendenza asiatica, la prima figlia di immigrati diprima generazione. Del resto era già stata la prima procuratrice nera di san Francisco, eletta a 40 anni tondi nel 2004, e poi la prima donna, prima nera e prima asiatico-americana a conquistare la Procura generale della California, quattro anni più tardi, sostenuta da Nancy Pelosi in persona, la prima senatrice asiatica e la seconda nera. Per la Harris è una tradizione: era anche stata una delle prime bambine nere di Berkeley a frequentare la scuola elementare di Thousand Oaks, quartiere ricco e all’epoca bianco come il latte, nel quadro del programma cittadino di desegregazione. Ritrovarsi a essere la prima candidata vicepresidente deve sembrarle un’abitudine.

Minoranza per minoranza Kamala è sposata con un avvocato ebreo di serie A, suo ex collega, Douglas Emhoff: patrimonio familiare dei suoi stimato sui 5 milioni e mezzo di dollari nel 2019. La numero due di Biden, del resto, viene da una famiglia dell’upper class di colore. La madre, Shyamala Golapan, immigrata dall’India a 19 anni, è una biologa con importanti studi sul progesterone all’attivo, il padre, Donald J. Harris, arrivato dalla Giamaica nel 1961 è professore di economia alla Stanford University e discendente di uno dei principali proprietari di piantagioni e schiavi della Giamaica, l’irlandese Hamilton Brown. Nata a Berkeley nel 1964 è cresciuta in California, spostandosi però, dopo il divorzio dei genitori a Montreal, dove ha studiato nelle scuole francesi, ha rapporti stretti con l’India, dove risiede la famiglia materna che la ha introdotta allo studio della molto amata e molto studiata mitologia Hindu.

Con una laurea in Scienze politiche ed economiche e una in Legge, autrice di tre libri, due accademici ma il terzo per bambini, Kamala Harris è certamente una donna di grande e vasta cultura e di accertata competenza. Ma è anche una donna di sinistra radical, come da accuse presidenziali? Se si guarda all’attività al Senato è impossibile dare torto a The Don. Si è battuta per la depenalizzazione della marijuana, la cittadinanza ai clandestini, una riforma sanitaria pur se meno radicale di quella proposta da Sanders, l’introduzione di un sistema fiscale progressivo. Perché allora da sinistra sono arrivati sin dalla scelta d Biden molti applausi ma anche molte espressioni dubitose e perplesse? Diversi motivi. La legalizzazione della marijuana, per esempio, è uno dei cavalli di battaglia della senatrice. Come procuratrice però si era distinta per la durezza con la quale aveva perseguito consumatori e piccoli spacciatori di cannabis, incidentalmente colpendo così soprattutto i quartieri neri e ispanici.

Come capo della Procura, Kamala Harris si è sempre rifiutata di chiedere la pena di morte, anche nel caso rimasto molto celebre di un poliziotto ucciso nel 2004. Nonostante le pressioni fortissime dei vertici del Partito democratico, l’allora neo procuratrice distrettuale si rifiutò di chiedere la pena capitale e ha sempre sostenuto che l’ergastolo senza possibilità di libertà sulla parola sia allo stesso tempo una pena più civile e meno costosa per la comunità. In tribunale, però, la ex procuratrice ha difeso il mantenimento della pena di morte e ha scelto di non partecipare ad alcune iniziative a favore della sua soppressione.

La macchia più spesso contestatale è però proprio quella che le è valsa il soprannome di Top Cop. In realtà anche in veste di procuratore Kamala Harris ha fatto molto per ricucire i rapporti tra comunità e forze di polizia e ha spinto verso l’adozione delle bodycams per gli agenti, adottate per la prima volta proprio dalla California, riprendendo poi la campagna su scala nazionale dal Senato, e ha lanciato la piattaforma Open Justice, per consentire ai cittadini di monitorare il comportamento delle forze di polizia. È accusata però di aver nel concreto evitato di perseguire, come Attorney General, i poliziotti accusati di violenza.

Ha certamente gestito con grande oculatezza la assurda Three Strikes Law, quella che permette di condannare a pene dai 25 anni all’ergastolo i colpevoli di qualsiasi reato, anche minimo, se già condannati due volte. Kamala Harris la ha impugnata solo nei casi di crimini particolarmente gravi. Allo stesso tempo però ha provato a opporsi con ogni mezzo alla scarcerazione di Daniel Larsen, condannato a una pena minima di 28 anni fino al possibile ergastolo per il possesso di un pugnale. Anche se dopo 10 anni di prigione era apparso chiaro e provato che la condanna era ingiusta e il pugnale non era di Larsen, la procura guidata da Kamala continuò a battersi contro la scarcerazione per oltre due anni. Una macchia che i liberal più convinti della California considerano indelebile.

In definitiva, la senatrice Harris è certamente una donna di sinistra, attenta alla rieducazione dei condannati, impegnatissima sul fronte del contrasto alle discriminazioni di genere e su quello delle politiche ambientali, con proposte di gran peso come una riforma della cauzione, che, nelle forme attuali,condanna i non abbienti a restare comunque in galera. È certamente questa la sua propensione più sincera. In fondo il solo vero scoglio di una carriera in continua ascesa fu, nel 1998, l’opposizione alla Proposition 21, che permetteva di processare anche i minorenni di fronte a corti normali invece che delegare le cause ai tribunali minorili.

Per rappresaglia fu pesantemente demansionata e abbandonò il posto che occupava in quel momento nella procura di San Francisco. Allo stesso tempo Kamala Harris è una politica attenta, che ci pensa più volte prima di imbarcarsi in sfide che non pensa di poter vincere, pragmatica al punto giusto. Per l’etica di molti radical è un grosso limite. Per una leader politica però è una dote.