Per tutti la leggenda del calcio, il Pibe de oro, la mano di Dio, l’immortale che la città amerà in eterno. Per Salvatore Bagni, semplicemente Diego: l’uomo dietro il mito, lo scugnizzo di Villa Fiorito che faceva magie con il pallone per beneficenza sui campi stracolmi di fango, o che percorreva 300 chilometri solo per far compagnia alle persone che soffrivano e chiedevano di incontrarlo. A un anno dalla morte del più grande di tutti i tempi, Salvatore Bagni ricorda Diego.

Chi era Maradona?
«Un uomo molto generoso, umile e altruista come pochi. So di averlo vissuto insieme con la mia famiglia più di chiunque altro. Veniva spesso a dormire a casa nostra. Per 25 anni abbiamo passato insieme tutte le estati. Diego aveva bisogno di sentirsi a casa per aprirsi davvero. Doveva sentire che le persone che aveva davanti gli volessero bene. Hanno parlato tutti di lui ma bisognerebbe averlo conosciuto bene prima di giudicare. Solo chi ha vissuto l’uomo dietro il campione può raccontare chi era».

C’è qualcosa che rimpiange di non avergli detto?
«No. Non ho nessun rimpianto. Ho sempre detto a Diego tutto ciò che pensavo e che sentivo. Abbiamo sempre avuto un rapporto schietto e l’ho sempre trattato da amico e non da Maradona e tra amici ci si rispetta e ci si dice tutto. La mia fortuna è stata averlo incontrato subito, il primo giorno che arrivò a Napoli».

E invece qual è il suo ricordo più bello?
«Ne avrei mille. Forse il più bello risale ai Mondiali in Messico del 1986 in occasione della partita Italia-Argentina. Lui mi rispettò. Mi feci avanti per marcarlo, sapendo che non mi avrebbe mai messo in difficoltà. Credo che fu la prima partita nella quale non ci furono calci tra giocatori avversari. C’era invece tanto rispetto e un’amicizia profonda».

Perché Napoli ha amato e ama in maniera così viscerale Maradona?
«Perché Napoli somiglia molto a Buenos Aires, gli argentini sono molto simili ai napoletani nel modo di fare e nell’esprimere affetto. Napoli era l’unica città italiana nella quale Diego avrebbe potuto giocare. E lui a 23 anni e mezzo ebbe il coraggio di lasciare il Barcellona per venire a giocare qui. Il più grande giocatore di tutti i tempi scelse Napoli e il tempo gli ha dato ragione. Quando Diego diceva che avremmo vinto lo scudetto, lo prendevamo per pazo e invece era un realista: lui lo scudetto con la maglia azzurra addosso l’ha vinto. Quei sette anni non potranno ritornare mai più, quel periodo è stato unico e irripetibile. Spero che il Napoli vinca tutto ma non ci sarà mai più una squadra che vince con il più grande giocatore del mondo».

Napoli gli ha regalato tanto amore ma anche tanta sofferenza. Qui ha conosciuto il dramma della droga, di cui è stato vittima.
«Sì, ma questo aspetto riguarda i vizi di ognuno, la sfera più personale di un uomo e non c’entra niente con il Diego amico e campione di calcio. La gente parla di questo aspetto della sua vita che non dovrebbe riguardare nessuno se non lui. L’ho vissuto quando stava male e quando stava bene, posso dire con certezza che per chi gli voleva bene non alterava l’idea che si aveva di lui: rimaneva la persona eccezionale di sempre. Poi, certo ha sbagliato e questo lo sapevamo tutti e lo sapeva anche lui e proprio per questo ne è uscito, dal 2005 non ha mai più fatto uso di droghe».

Maradona è stato anche un leader che potremmo definire “riformista” se pensiamo alla battaglia per cambiare le regole della Fifa?
«Assolutamente sì. Lui è sempre stato dalla parte della gente e sempre contro i poteri forti. Cosa che non ha fatto Pelè, rimasto sempre dall’altro lato. Maradona viveva vicino al popolo ed è sempre stato orgoglioso di questo. Era più vicino alla gente normale, si è sempre seduto accanto ai deboli. Per quanto riguarda la Fifa e il voler cambiare le sue regole, il tempo gli ha dato ragione».

Lei sente ancora le figlie di Diego?
«Certo, con Claudia e le due figlie abbiamo vissuto trent’anni di felicità pura. Pura».

Cosa ricorda di quella partita nel fango ad Acerra?
«Potrei raccontare mille occasioni in cui lui è stato vicino alle persone facendo beneficenza. Non solo dando soldi. C’erano molte persone, anche malate, che chiedevano di incontrarlo e lui spesso faceva 300 chilometri, all’insaputa della società così come capitò per la bimba di Acerra, solo per regalare loro un sorriso».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Affascinata dal potere delle parole ha deciso, non senza incidenti di percorso, che sarebbero diventate il suo lavoro. Segue con interesse i cambiamenti della città e i suoi protagonisti.