Chi perde paga
Salvini e Conte pagano il flop alle elezioni, regolamento di conti nella Lega e tra i 5S
Il voto amministrativo chiude un ciclo della politica. E lascia sul campo due vittime eccellenti: Matteo Salvini e Giuseppe Conte. Se la politica è in crisi, i populisti sono i primi a farne le spese. A quarantotto ore dal voto, con i dati definitivi, entrambi possono contare i danni come si fa quando il vento è finito, passata la bufera. Il bilancio è drammatico per entrambi. I Cinque Stelle sono spazzati via, ridotti nella media nazionale sotto il tre per cento. Ma è nel centrodestra che i nuovi equilibri aprono a scenari inediti. Al Partito democratico, nel centrosinistra, si contrappone Fratelli d’Italia.
Letta e Meloni incarnano due partiti speculari e opposti, ma fermi sul sostegno alla Nato e attenti alle politiche sociali. Segno che nel particolare dei Comuni, c’è un orientamento generale. Vediamo le due crisi, una dopo l’altra. Il fronte interno alla Lega è ampio e trasversale, pur sapendo di doversi muovere con circospezione, necessariamente sottotraccia. Le chat leghiste, per i soli spifferi che ci arrivano alle orecchie, ricordano i dialoghi della corazzata Potemkin prima dello scoppio della rivolta. E non è meno crudo guardare ai soli numeri. A Genova la Lega è al 4%: come tornata in porto, a vele ammainate, ricorda la Lega di Bossi (e Belsito). A Parma molti elettori leghisti non sono andati a votare. A Verona l’uscente Sboarina perde tanti di quegli elettori da costringere lo stesso Salvini ad ammettere: “Abbiamo un problema”.
Ma è come se Huston chiamasse se stessa. Il refrain della sicurezza e la leva della paura sembrano non servire più allo scopo, non fare più presa. Berlusconi convoca un vertice di Forza Italia ad Arcore per analizzare i risultati. Alla presenza del coordinatore nazionale Antonio Tajani, dei capigruppo Annamaria Bernini e Paolo Barelli, Licia Ronzulli, Maurizio Gasparri e Alessandro Cattaneo, l’ex premier ha telefonato ai sindaci Bucci e Lagalla, eletti al primo turno, e anche a Flavio Tosi. Non a caso, per ultimo, ma non meno importante, all’ex sindaco di Verona. Che nella città scaligera è diventato il kingmaker. Da scommetterci: Berlusconi ha raccomandato a Tosi di chiudere l’accordo con Sboarina. Ha capito che dall’arena di Verona, come da un fatale torneo, sono scappati i buoi che rischiano di incornare il centrodestra.
Il caso Verona
Verona non è solo una importante città capoluogo. Diventa il simbolo di un ciclo che si è chiuso. Di un centrodestra incartato su se stesso, arroccato sui vecchi temi e dai vecchi volti. La novità di Damiano Tommasi ha sorpreso tutti. Flavio Tosi rilascia al Riformista Tv un’intervista per riconoscerne i meriti: “Gli elettori premiano le novità. E anche io con Tommasi ho sempre avuto un buon rapporto personale”, concede. “Non ci siamo ancora parlati. Ci parleremo con entrambi, si deciderà dopo aver valutato le loro idee”. Nonostante sia stato escluso dal secondo turno, Tosi ha il ‘pallino’ in mano contro il suo ex assessore, poi staccatosi cinque anni fa per correre da solo, sordo ai tentativi di negoziato sul programma, ora separato in casa ma non autosufficiente. “Vale quel che avevamo proposto in tempi non sospetti – ha ricordato Tosi – che cioè il primo turno fossero le primarie del centrodestra, e poi ci si riaggrega. Per me vale ancora, ma da Sboarina resta il silenzio”.
L’ex sindaco ed ex leghista esclude qualsiasi tipo di sostegno a Tommasi, sottolineando la volontà di rimanere nell’alveo ‘naturale’ del centrodestra. Ma “per sposarsi bisogna essere in due. C’è comunque tempo per fare l’apparentamento”. Da escludere comunque un generico ‘appoggio’ della sua coalizione a Sboarina: “Se si applica il principio delle ‘primarie’ non c’è un semplice endorsement, serve un accordo politico”, ha ribadito. Da Sboarina nessun commento ne’ apertura, ma le pressioni per una ricomposizione della frattura tra le due anime del centrodestra si sta già facendo sentire. Matteo Salvini da Genova ha definito ‘inaspettato’ il 32% racimolato da Sboarina: “Se una parte del centrodestra ha scelto Tosi – ha suggerito – bisogna parlarci, bisogna incontrarsi. Se il centrodestra tiene a Verona bisogna parlarsi e spero che Sboarina e Tosi si parlino”. Dietro agli accordi, c’è la doppia ipoteca di Tosi come front runner dell’area che lui stesso definisce “centrista, liberale, riformista, garantista” e di Luca Zaia sulla Lega. L’Opa su Via Bellerio dei veneti, una vecchia storia, torna attuale ogni volta che il vento da Est spira verso Milano. “Contatti in corso tra Zaia, Fedriga e Giorgetti”, ci confermano dalla Lega, starebbero individuando tempi e percorsi da seguire per dare ad Alberto da Giussano un futuro.
L’analisi dei flussi
Mentre al Nazareno si lascia carta bianca a Francesco Boccia, responsabile enti locali e Regioni, dietro le quinte Enrico Letta e Matteo Renzi sarebbero alla ricerca di un’occasione per parlarsi a quattr’occhi e inaugurare quel disgelo che attende da tempo. “Abbiamo vinto nettamente al primo turno in tre città importanti come Taranto con Rinaldo Melucci, Padova con Sergio Giordani e Lodi con Andrea Furegato. Tutto si deciderà ai ballottaggi del 26 giugno e siamo molto fiduciosi”, rassicura Boccia. Il leader dei Civici del Nord, il milanese Franco D’Alfonso, la vede così: “Il Pd conferma la sua strategia di posizionamento, che in realtà è non prendere posizione, non dire niente e garantirsi la percentuale (non i voti assoluti, che continuano a picchiare verso il basso) di esistenza che garantisce i posti nel sistema a prescindere dalla linea politica.
Anche a questo piccolo giro elettorale, ne sono soddisfatti: erano fuori dal governo cittadino di 26 capoluoghi su 29, probabilmente entreranno in almeno 10/15 nel prossimo quinquennio, quasi mai con il sindaco proprio ma al traino di personalità autonome o civici. A posto così”. E quanto alla dispersione verso civici e centristi, dati curiosi arrivano dall’analisi dei flussi elettorali fatta da Swg. In particolare sulle scelte di una fetta di elettorato M5S. Sia a Parma che a Palermo dove si sono presentati candidati di area Calenda, ci sono stati spostamenti di voto dal partito di Giuseppe Conte al ‘polo riformista’ che, a livello nazionale se non altro, si qualifica come il più ‘anti-grillino’. A Parma il 16% di elettori M5S alle politiche 2019 ha scelto Dario Costi e a Palermo il 22% è andato su Fabrizio Ferrandelli. A livello locale vincono le singole personalità ma la ricerca, da parte degli elettori, di una offerta politica del tutto alternativa ai due partiti populisti, Lega e Cinque Stelle, appare evidente.
Il Movimento non c’è più
“Letta fa come se niente fosse, ma non credo che possa continuare a lungo”, ci dice un senatore dem. Il Re è nudo: Conte è privo di voti. La media nazionale del Movimento è finita sotto al 3%. Euromedia Research li quota all’11% nazionale: rispetto al quasi 33 che avevano avuto alle politiche, due elettori su tre li hanno già abbandonati. E la crisi si riverbera su Giuseppe Conte, sulla sua inesperienza e sui suoi cattivi consiglieri. Sul Fatto Quotidiano si ritrova ancora pochi giorni un fondo che raccontava come Conte venisse accolto a Palermo da folle oceaniche (un fotomontaggio) e perfino da cori spontanei della gente. Forse erano inviti a sparire, ad andare a casa: quello è stato il senso del 6 per cento con cui nella realtà i palermitani hanno congedato Giuseppi. Ieri riunione fiume per lui, con i fedelissimi (i vicepresidenti) e lo staff comunicazione. “Necessario cambiare passo, necessaria una fase due”. Ma nei territori, dalle Regioni è tutto un incedere di picche verso Roma. Al terzo punto dello Statuto fatto approvare in fretta e furia da Conte, l’avvocato del popolo aveva imposto “il discioglimento di tutti i comitati territoriali e locali”.
Ottimo lavoro, come si vede. A Rieti, dove il M5S prova l’esperimento contiano, mette la sola scritta ConTe e le cinque stelle senza nominare il Movimento, l’alambicco regala uno 0,86 non troppo incoraggiante. “Quando da una tornata elettorale si esce con risultati così insoddisfacenti credo che la prima riflessione che si dovrebbe fare è al proprio interno”, protesta la coordinatrice del M5S Toscana. “La riflessione interna è stata ritardata insieme alla riorganizzazione per una serie di vicissitudini”, rispondono dal Movimento. Mentre si affilano i coltelli (e le rotative: al Fatto starebbero per incoronare Alessandro Di Battista) a Napoli si attende il giudizio del tribunale. L’avvocato Lorenzo Borré, che rappresenta i ricorrenti che potrebbero mandare Conte a carte quarantotto, può ben anticipare una conclusione: “Se lo ripudi, il metodo democratico poi si vendica”.
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