Solo noi possiamo decidere i tempi dei processi. Nessuno può permettersi di dirci quanto deve durare un dibattimento. Neppure il legislatore. In estrema sintesi, è questa la risposta delle toghe italiane alla proposta della maggioranza di prevedere delle “sanzioni” per i giudici pigri. Una risposta prevedibile e scontata. L’Italia, infatti, pur essendo continuamente sanzionata dalla Cedu per l’eccessiva durata dei processi, non ha mai posto in essere serie misure strutturali – ad esempio facendo lavorare di più e meglio i magistrati – per evitare che i cittadini trascorrano gran parte della loro esistenza in Tribunale prima di avere una sentenza definitiva. Leggendo l’ultima relazione della Corte di Strasburgo, sono stati oltre 1200 i ricorsi per “l’irragionevole durata del processo” e “la mancata applicazione della legge Pinto”. Un record che ci ha permesso, nel 2018, di superare la Turchia, paese dove vige uno dei sistemi giudiziari peggiori del pianeta.

Era stato il responsabile giustizia del Pd, Walter Verini, in un intervento pubblicato la scorsa settimana su Il Riformista, ad annunciare la possibilità di rafforzare l’illecito disciplinare per «ritardi immotivati nello svolgimento del procedimento». La norma è stata poi inserita nel testo sul “processo breve” voluto da Alfonso Bonafede per diluire gli effetti del blocco della prescrizione sulla durata dei processi e presentato mercoledì agli alleati di governo. Per i magistrati pigri è previsto un procedimento disciplinare più “efficace” davanti al Csm, normalmente di manica larga per le toghe lumaca: Palazzo dei Marescialli lo scorso anno, prosciolse un giudice fiorentino che aveva impiegato oltre cinque anni per depositare una sentenza. La reazione delle toghe è stata durissima. «Una soluzione demagogica e di propaganda», hanno affermato in coro i magistrati.

Il tema, va detto, è di quelli che ricompattano la categoria. Le tensioni fra le correnti del dopo “Palamara” sono subito sfumate come per prodigio. Dalla sinistra giudiziaria di Area-Md alla destra di Magistratura indipendente è immediatamente partito il fuoco di sbarramento per impallinare nella culla la proposta del governo. «Esprimiamo – scrivono i magistrati progressisti – la ferma ed assoluta contrarietà a qualsiasi riforma che ipotizzi di garantire la durata ragionevole dei processi penali minacciando ipotesi di responsabilità disciplinare a carico dei magistrati qualora i tempi imposti per legge non vengano rispettati». Ciò «non può certamente passare attraverso riforme che impongano ai magistrati italiani, pena l’individuazione di loro responsabilità di ordine patrimoniale o professionale, termini perentori di definizione dei processi».

I magistrati, dicono, farebbero già miracoli nell’attuale contesto. «La magistratura italiana rappresenta un esempio di produttività nel panorama comparato dei sistemi giudiziari europei e non accetta di diventare, in ragione di una mediazione politica che non dovrebbe mai andare disgiunta dalla ricognizione dei problemi reali, il capro espiatorio di inefficienze e malfunzionamenti che fanno torto all’abnegazione e all’impegno profusi dalla larga maggioranza dei suoi esponenti», scrivono le toghe di destra. «La lentezza dei processi non è certo determinata dalla pigrizia dei magistrati; all’opposto, nel quadro normativo attuale, deve a loro essere riconosciuto il merito della residua, per quanto insufficiente, funzionalità della giustizia penale», fanno eco i giudici di sinistra. Cosa fare? “Risorse” ed “investimenti”, la soluzione togata.

Sul fronte risorse, comunque, l’anno scorso il governo ha già aumentato il numero dei magistrati, portandone l’organico a 10.600. Uno dei più alti in Europa se sommato anche alle migliaia di giudici onorari. Su un punto, però, le toghe hanno ragione. E cioè quando reclamano una seria depenalizzazione. Una rivoluzione dopo anni di panpenalismo spinto che ha portato a reati fumosi ed evanescenti come il traffico di influenze o l’abuso d’ufficio. Se Bonafede dovesse insistere nel suo progetto, i magistrati si sono comunque già dichiarati pronti alla “mobilitazione generale”. Ministro avvisato, ministro salvato.