A Repubblica non vedono proprio l’ora che scoppi una nuova Mani pulite. Sono talmente eccitati dal Qatargate da arrivare anche ad ‘inventare’ le notizie di sana pianta. Leggendo l’apertura di sabato scorso del giornale diretto da Maurizio Molinari, “Milano, caccia ai soldi”, pareva di essere tornati direttamente al 1992, con le retate quotidiane di politici accusati di prendere mazzette a go go dagli imprenditori. Scorrendo poi il titolo ed il sommario dell’articolo principale, “Conti correnti al setaccio, Milano cerca le mazzette degli ‘amici’ del Qatar. L’inchiesta meneghina è coordinata dal procuratore aggiunto Fabio De Pasquale”, il lettore avrà subito pensato che quarto piano del Palazzo di giustizia del capoluogo lombardo, dove ha sede la Procura, i pm, i super eroi senza macchia e senza paura che lottano contro il male, fossero tutti intenti a scrivere richieste di custodia cautelare e decreti di sequestro.

Purtroppo, il desiderio irrefrenabile di manette era destinato a sciogliersi come neve al sole. Ancora ieri mattina, infatti, non risultava aperta nessuna inchiesta a Milano nei confronti dei soggetti tirati in ballo dai giornali in questi giorni, ad iniziare da Antonio Panzeri. Nulla di nulla. Nemmeno mezza iscrizione nel registro degli indagati. L’unica attiva svolta a Milano era stata quella di dare esecuzione a delle richieste da parte dell’autorità giudiziaria belga. Non essendo previsto che i pm belgi vengano in Italia per effettuare delle acquisizioni di atti o verifiche sui conti correnti, costoro avevano delegato per la loro esecuzione i colleghi milanesi. Una normalissima attività di cooperazione internazionale, come se ne fanno a centinaia secondo procedure ben codificate, è stata quindi spacciata per “inchiesta”.

Invece di questa ‘disinformazione’ che ha contribuito a dare una lettura suggestiva degli accadimenti, il giornale di Largo Fochetti avrebbe fatto bene a sottolineare l’inopportunità che tali accertamenti, anche se solo delegati, venissero effettuati da De Pasquale, l’attuale coordinatore del pool affari internazionali e reati economici transnazionali di Milano. Il magistrato è imputato a Brescia per omissione d’atti d’ufficio nel procedimento Eni Nigeria. Se fossero applicate le ‘regole’ di Piercamillo Davigo, diventato celebre con Mani Pulite, De Pasquale non dovrebbe entrare nemmeno in ufficio. “L’errore italiano è stato sempre quello di dire aspettiamo le sentenze”, disse una volta Davigo. “Se invito a cena il mio vicino di casa e lo vedo uscire con la mia argenteria nelle tasche non devo aspettare la sentenza della Cassazione per non invitarlo di nuovo”, aveva aggiunto l’ex magistrato.

Dal momento che è acclarato in una sentenza del tribunale di Milano che De Pasquale non ha depositato atti a favore dei suoi imputati, desta sorpresa che si occupi di questo caso che avrà risvolti sulla politica nazionale e non solo. L’impasse, comunque, è dovuto all’incredibile inerzia del Consiglio superiore della magistratura che ha sul tavolo da un anno e mezzo la sua pratica per incompatibilità ambientale. De Pasquale è a rischio trasferimento da Milano a seguito per le vicende legate a i verbali dell’avvocato Piero Amara e, come detto, al mancato deposito di prove favorevoli agli imputati del processo sulle tangenti in Nigeria. Imputati che sono stati poi tutti assolti. Il Csm, a luglio dello scorso anno, aveva convocato l’allora procuratore Francesco Greco, i suoi vice, alcuni pm e anche il presidente del Tribunale ed il giudice Marco Tremolada che ha presieduto il collegio che ha assolto tutti gli imputati per la corruzione nel fascicolo Eni, per far luce sull’accaduto.

Come se non bastasse, una delegazione composta dai laici e togati del Csm, fra cui il pm antimafia Nino Di Matteo, si era recata personalmente lo scorso gennaio a Milano per ulteriori accertamenti ed acquisizione di testimonianze. Da allora non si è più saputo nulla. È opportuno, allora, che De Pasquale si occupi di rogatorie e dia supporto ai magistrati del Belgio?