Il discorso pronunciato mercoledì da Mario Draghi in Parlamento, con il quale ha concluso il dibattito sull’impegno italiano nella guerra di Ucraina, è stato un discorso di svolta. Draghi ha abbandonato la politica dei sorrisi, del compromesso, della saggia ambiguità: ha battuto i pugni sul tavolo, ha rivendicato il suo diritto a governare l’Italia senza troppi ostacoli e lacciuoli, ha assunto su di sé la responsabilità della guerra alla Russia, ha liquidato i pacifisti. Con disprezzo. Ha accusato chi chiede che l’Europa compia degli sforzi per frapporsi tra la potenza americana e quella russa – e per favorire delle trattative di pace – di essere o folle o alla corte di Putin.

Naturalmente non ha parlato della posizione del Vaticano e del papa – ha preferito rivolgersi a Fratoianni – però il papa e la Chiesa, immagino, erano il bersaglio della sua invettiva. Visto che nella discussione che va avanti da tre mesi, in Italia, a parte qualche figura del folklore e i rappresentanti – unici coerenti – della sinistra radicale, c’è solo il papa a criticare il pensiero vincente e a invocare trattative al posto dei cacciabombardieri. La svolta di Draghi arriva a conclusione di una massiccia campagna che ha preparato e reso possibile questa svolta. Mi riferisco all’offensiva di opinione dei grandi giornali e di quasi tutte le Tv, guidata dal Corriere della Sera, a favore dell’impegno italiano ed europeo nella guerra. Presentato come obbligatorio per chi è dalla parte della democrazia. Draghi ha aspettato che questa campagna maturasse e desse i suoi frutti. Forse ha anche contribuito ad alimentarla (resta l’ombra che nessuno ha voluto illuminare sulle liste di proscrizione e sul ruolo avuto dai servizi segreti in questa opera di intimidazione). E ora esce allo scoperto abbandonando ogni prudenza e ponendosi personalmente alla testa del fronte maggioritario e interventista.

Ormai si sono rotti anche gli argini del diplomatismo politico e si parla espressamente di coinvolgimento in una guerra. Ci torno tra pochissime righe. Intanto voglio solo chiarire la stretta connessione tra politica del governo e campagna di stampa. Era già successo in passato. Ai tempi del governo Monti. Quando addirittura alcuni editorialisti furono chiamati a collaborare con l’esecutivo. Mi limito a chiedere timidamente: tutto questo mette o no qualche dubbio sulla correttezza della nostra democrazia, che sicuramente funziona in modo assai diverso rispetto alle altre democrazie occidentali, tutte fondate sui partiti e sul voto degli elettori? E poi una seconda domanda: in che modo, e per quali ragioni, e con quali collegamenti, la grande stampa si è compattata e ha assunto un ruolo di direzione politica del paese? (Anche in questo caso c’è un clamoroso precedente: Tangentopoli. Anche allora la stampa surrogò la politica e il parlamento).

Veniamo a Draghi. Ho due osservazioni da fare al suo discorso di replica alla Camera, passato sorprendentemente senza scossoni nel mondo politico, e in quello giornalistico, e in quello intellettuale. La prima obiezione riguarda quella frase alla quale accennavo. Draghi ha testualmente detto: “Coinvolti seppure indirettamente in una guerra”. Non ha detto in “un’azione di polizia internazionale”, in “un’iniziativa difensiva”, nell’ ”aiuto ad un paese aggredito”. No. Ha esplicitamente parlato di guerra. Ha detto anche contro chi: contro la Russia, perché è la Russia responsabile di questa situazione. Mi limito a chiedere questo: visto che Draghi afferma che siamo coinvolti in una guerra contro la Russia, è consapevole del fatto che la Costituzione italiana proibisce l’uso della guerra come strumento per risolvere le controversie internazionali? A voi sembra un problemino piccolo? A me sembra che un governo di coalizione, che non è passato dal voto popolare, stia violando la Costituzione non su un dettaglio ma sulla più grande delle questioni politiche: la pace e la guerra.

La seconda obiezione riguarda il pacifismo. Draghi, con forte tono polemico, ha diviso in due lo schieramento politico e delle idee: Chi sta con l’Ucraina e sostiene la guerra che gli Ucraini stanno subendo. Chi invece – i pacifisti – vorrebbe che l’Ucraina fosse invasa e non facesse resistenza. I pacifisti, per Draghi, sono quelli che vogliono l’invasione. Si diceva così anche nel 1914. E questa tesi è sostenuta dall’argomento ormai consueto: la Russia non vuole la pace, come si fa a trattare? Domanda: qualcuno ha provato a fare proposte alla Russia? Qualcuno ha avanzato delle soluzioni di compromesso? È vero che a un certo punto la Russia ha chiesto il Donbass e la Crimea come condizione per il cessate il fuoco senza ricevere un cenno di risposta? L’America, oltre a parole di fuoco e alla dichiarazione di voler rovesciare Putin (ripetuta l’altro ieri dal britannico Johnson), ha mai fatto balenare una proposta? Il problema non è che le trattative sono impossibili. È che Washington non le vuole. E l’Europa paga il prezzo di questa posizione degli Usa. Altissimo. L’Europa non ha la forza per opporsi? L’Italia nemmeno? Beh, ditelo.

P.S. Draghi sa che la mancanza di una iniziativa diplomatica ha avuto finora il prezzo di diverse decine di migliaia di morti ucraini e russi?

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.