In Campania il piano vaccinale va a rilento, come il governatore Vincenzo De Luca ha ribadito nel giorno in cui la regione passa dalla zona gialla a quella arancione. «Contiamo di immunizzare 500mila persone entro la prima settimana di aprile, ma il rischio è che per completare la campagna ci vogliano anni e che nel frattempo emergano varianti del Covid non coperte da vaccini», ha detto il presidente campano. Dopodiché De Luca ha puntato il dito contro il collega veneto Luca Zaia, pronto ad acquistare 27 milioni di anti-Covid al di fuori dell’accordo stipulato dal Governo nazionale con l’Unione europea pur di mettere il turbo alla campagna vaccinale nella sua regione.

«Propaganda sgangherata» secondo lo Sceriffo che comunque ha confermato che la Campania si sta muovendo per acquistare direttamente dosi di vaccino all’estero, ma che le somministrerà ai cittadini soltanto dopo che le autorità italiane ed europee le avranno approvate. Lo scontro tra De Luca e Zaia ripropone una tendenza che si era già manifestata, tra le varie amministrazioni regionali, all’inizio della pandemia, cioè quella a procedere in ordine sparso. Ricordate? Era febbraio 2020, il Covid cominciava a dilagare e ciascun governatore tentava di arginarlo seguendo una strategia diversa.

La conseguenza è stata il caos sulle linee-guida, sui protocolli anti-Covid e persino sui numeri verdi per le emergenze: una confusione che il governo Conte, per quanto supportato da una pletora di scienziati, non ha saputo contenere, ma che ha anzi alimentato adottando misure spesso e volentieri contraddittorie. Ora, a distanza di un anno esatto, si ripresenta la stessa situazione: il Covid avanza, le sue varianti fanno ancora più paura, i vaccini sembrano introvabili e, davanti a un Governo incapace di assicurare le necessarie forniture del farmaco, le Regioni provano a fare da sole. Un fenomeno globale come la pandemia, però, non può essere affrontato con la visione microscopica di Zaia, di De Luca o della vicepresidente lombarda Letizia Moratti che, non più tardi di qualche settimana fa, suggeriva di introdurre il contributo al pil nazionale tra i criteri di assegnazione dei vaccini.

In gioco non c’è il primato di una Regione sull’altra, ma il diritto alla salute, che va garantito in maniera uniforme sull’intero territorio nazionale, e la tenuta del tessuto economico-sociale, che va preservata dalle aggressioni del Covid. La risposta a queste sfide non può essere la fuga in  avanti di questo o quel governatore, ma dev’essere necessariamente coordinata. Più concretamente, è ora che lo Stato torni a fare lo Stato, magari seguendo la strada tracciata dalla Costituzione e più volte indicata dal giurista Sabino Cassese.

L’articolo 120 della Carta, infatti, prevede che il Governo si sostituisca agli enti territoriali e locali in caso di grave pericolo per la sicurezza pubblica. Qualcuno dirà: è ciò che ha fatto il premier Conte nominando Domenico Arcuri commissario per la gestione dell’emergenza. Non è proprio la stessa cosa ma, in ogni caso, la struttura commissariale ha più volte dimostrato la propria inadeguatezza. Ora, quindi, tocca a Mario Draghi. A lui il compito di gestire la campagna vaccinale senza alimentare pericolose contrapposizioni tra Regioni che non farebbero altro che allontanare ulteriormente il Nord e il Sud dell’Italia: una “guerra tra poveri” di cui non si sente il bisogno.

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.