La guerra che c’è e quella che potrebbe venire. Con l’Europa come campo di battaglia. Il Riformista ne discute con uno dei più autorevoli analisti italiani di politica estera: il professor Stefano Silvestri. Già presidente dello Iai (Istituto Affari Internazionali) e oggi consigliere scientifico, Silvestri è membro del Consiglio di amministrazione della Federazione aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza (Aiad) e della commissione Trilaterale.

La guerra sembra allargarsi al di fuori del territorio ucraino, mentre Putin gioca la carta del gas e minaccia l’uso di armi “segrete” e Biden che ha trasformato il recente vertice Nato di Ramstein in un consiglio di guerra. Lei come la vede?
La guerra sta raggiungendo un punto critico. Da un lato, la Russia spera di consolidare la conquista della zona di Mariupol, Donbass e forse anche qualche cosa più a nord, e ipotizza di estendersi a Odessa fino alla Transnistria, e quindi di intervenire anche in Transnistria e Moldova, suppongo. E dunque di accerchiare da sud l’Ucraina e prenderne una fetta consistente di territorio. Dall’altro lato, però, la resistenza ucraina continua ad essere piuttosto vivace e forte, le sanzioni occidentali aumentano. Un insieme di Paesi, piuttosto consistenti, non solo la Nato ma anche Paesi come il Giappone, hanno deciso di aiutare in maniera più sostanziale, militarmente, gli ucraini. Questo combinato disposto, può portare l’Ucraina a coltivare la speranza di poter condurre una sorta di controffensiva, spingere indietro la Russia e portare la guerra verso il territorio russo. In questo momento delicato in cui le due ipotesi sono in equilibrio, tutti stanno sparando le loro cartucce migliori per cercare di favorire la soluzione che a loro più aggrada. Questo spiegherebbe perché adesso e non prima la Russia ricorra anche a decisioni che la danneggiano…

Vale a dire?
Il blocco delle esportazioni di gas in Polonia e in Bulgaria danneggia la Russia, perché vengono meno quelle risorse finanziarie che servono anche al funzionamento della macchina militare. Una scelta, quella di Putin, che appare anche come minaccia di una eventuale sospensione pure alla Germania e al resto dell’Europa. Il messaggio sottinteso è che la Russia tutto sommato può sopravvivere per un certo periodo anche senza esportare. Può cercare di graduare questa situazione, intanto rovesciando contro di noi l’effetto delle sanzioni, cercando di provocare ulteriori aumenti del prezzo dell’energia. Di contro, noi abbiamo aumentato la pressione di tipo militare e probabilmente aumenteremo anche quella di tipo sanzionatorio. Siamo in un momento di equilibrio instabile, in cui ancora la guerra resta confinata, militarmente, in Ucraina, però si sta estendendo, politicamente ed economicamente, a un fronte molto più largo.

Non sta emergendo tra gli alleati una divergenza sullo sbocco e le finalità della guerra? C’è chi sostiene che Biden, abbia interesse a trascinarla, per ragioni interne, fino almeno alle elezioni di mid term di novembre. Come la mettiamo?
È vecchia e onorata pratica delle guerre indirette, da quella del Vietnam a quella in Afghanistan, non tanto l’ultima ma quella contro la Russia ai tempi dell’invasione dell’Armata rossa, di essere utilizzate per indebolire sistematicamente l’avversario. Certamente questa è una possibilità, cioè quella di usare l’Ucraina per indebolire la Russia. Quanto ai desiderata americani. È del tutto improbabile che Washington punti realmente ad una sconfitta piena, che richiederebbe non solo la liberazione di tutte le terre ucraine (Crimea inclusa), ma anche la distruzione delle capacità militari presenti sul territorio russo. In realtà anche il semplice obiettivo di “liberare” tutte le terre ucraine sin qui occupate sembra molto ambizioso, forse troppo, a meno di non immaginare un vero e proprio collasso della Russia (il che peraltro potrebbe aprire la prospettiva di una pericolosa escalation). In tutto questo c’è poi un problema…

Quale, professor Silvestri?
È vero che noi mettiamo soldi e aiuti all’Ucraina, però gli ucraini ci mettono gli uomini, le distruzioni, il territorio…Sono quelli che pagano il prezzo più alto. Mi sembra che il problema sia che quello che decidiamo noi, tutto sommato venga in seconda battuta rispetto a quello che decidono gli ucraini e i russi. Il nostro controllo dell’andamento della guerra mi sembra, alla fine, molto scarso. Perché o noi vogliamo lasciare gli ucraini al loro destino, ma questo diventerebbe politicamente un prezzo altissimo per Biden e i governi europei, un prezzo inaccettabile, oppure siamo costretti ad andare dietro a quello che vogliono loro.

Ma “loro” che vogliono?
Gli ucraini vogliono essenzialmente liberarsi dei russi. Ma se per raggiungere questo obiettivo devono arrivare a far cadere Putin. Quanto a Putin, quello che appare chiaro è che voglia se non l’Ucraina tutta, almeno mezza, quella russofona. Ed è probabile che lo avesse stabilito da tempo, fin dalla prima guerra, quella del 2014. In questa situazione è inevitabile che le posizioni si irrigidiscano. Per gli ucraini ogni compromesso al ribasso apparirebbe come un tradimento nei confronti delle tante vittime di questa guerra, mentre per i russi avrebbe il sapore dell’umiliazione e dell’abbandono, una volta per tutte, del sogno di Putin di ricostruire una grande sfera egemonica russa in Europa. Il rischio è dunque quello che ogni negoziato di pace o anche solo armistiziale fallisca di fronte ad un confronto che potrebbe divenire esistenziale. A questo punto però la possibilità che una guerra senza fine si allarghi oltre i suoi attuali confini potrebbe richiedere decisioni urgenti e forse pericolose (o politicamente inaccettabili).

Si era detto, all’inizio di questo conflitto, che Putin era riuscito nel “miracolo” di rinsaldare l’alleanza transatlantica, tra gli Stati Uniti e l’Europa. Ma oggi non si cominciano a manifestare, soprattutto all’interno dell’Europa, vedi l’atteggiamento tedesco, una divergenza di visioni e interessi?
Quando i prezzi da pagare cominciano a differenziarsi da Paese a Paese, è in qualche modo inevitabile che si manifestino differenze. Però mi sembra che finora l’unità d’azione sia stata sostanzialmente mantenuta. Certamente ci sono delle sensibilità diverse. Noi europei forse siamo meno sanguigni sul fatto di voler rovesciare Putin. La debolezza europea è sia politica che militare. È in realtà il portato dell’assenza di una politica estera comune. Inevitabilmente, la diversa vulnerabilità dei singoli paesi si traduce in difficoltà e ritardi decisionali. Al fronte comune nel momento dell’emergenza fanno da contraltare le divisioni quando entrano in gioco grandi interessi nazionali. Detto questo, molto dipenderà da una parte dagli ucraini, e dall’altra proprio dallo stesso Putin. Finora è stato un po’ lui a mettersi nella posizione del tutto o niente. Così non c’è gran spazio di dialogo. Se è tutto o niente, allora noi diciamo niente. Il che non toglie che vorremmo una trattativa di de-escalation. Ma non solo dobbiamo tener conto degli interessi degli ucraini, ma soprattutto dobbiamo avere delle risposte da Putin. Se non arrivano, vuol dire che la sua percezione è quella che deve andare fino in fondo, e noi non sappiamo cosa sia per lui quel fino in fondo. E se al fondo c’è il baratro di una guerra mondiale. Nucleare.

Avatar photo

Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.