Un pentito è un pentito è un pentito – diceva, più o meno, Gertrude Stein. Forse non diceva esattamente così ma il concetto è quello. E voi probabilmente sapete che noi del Riformista ci siamo fidati sempre poco dei pentiti. I pentiti sono i santini dei giornalisti e dei politici giustizialisti e sono la miniera dei magistrati. Noi invece pensiamo che spesso, molto spesso, non siano molto attendibili e che talvolta tentino di inguaiare qualche loro nemico, o cerchino visibilità, o provino a compiacere i Pm che li interrogano.

Ok. Detto questo non possiamo non tener conto del fatto che i quattro quinti delle grandi indagini degli ultimi trent’anni si sono basate sui pentiti. E anche i quattro quinti della cronaca giudiziaria e dei titoloni nelle prime pagine, nell’ultimo trentennio, non ci sarebbero stati senza pentiti. Non ho mai letto, per esempio – diciamo sul Fatto Quotidiano, per prendere un giornale a caso – un articolo nel quale si mettesse in discussione la testimonianza di un pentito. Neanche quando la possibilità che quel pentito avesse tutto l’interesse a inguaiare l’imputato era una possibilità molto concreta. O che millantasse credito. O che la sua testimonianza fosse indispensabile per blindare un teorema precedentemente costruito da un Pm.

Di nuovo: ok. Ora io voglio capire una cosa. Ma perché se parla un picciotto della mafia, o un sottufficiale, o un piccolo funzionario, o un politico ignoto, allora la sua testimonianza è fuori discussione, e se invece parla un generale – dico un generale con tutte le stellette – che per di più è stato il capo dei servizi segreti di una potenza straniera, la attendibilità del pentito scompare? Voi dite, magari, perché questo spione poteva avere qualche interesse ad inguaiare qualcuno. Beh, vediamo un po’. Stiamo parlando del generale Carvajal, uomo di Hugo Chavez, che interrogato da un magistrato spagnolo dice che sono stati dati dei soldi al partito italiano dei 5 Stelle (oltre che al partito spagnolo di Podemos). Ma per quale scombiccherata ragione questo super 007 dovrebbe avere interesse a inguaiare i ragazzi di Casaleggio e Grillo, e quale interesse mai potrebbe avere l’inquirente spagnolo ad avere questa confessione? E infatti all’inquirente spagnolo dei soldi ai 5 Stelle italiani interessa pochissimo, lui però vuole sapere dei finanziamenti illegali del Venezuela alla sinistra spagnola. Ha ragione, direi. Le cose stanno proprio così: in Spagna è avviata una inchiesta giudiziaria sulle dichiarazioni del generale Carvajal, qui da noi il silenzio.

Non risulta che sia stata aperta un’inchiesta, e per di più i giornali – dopo una intimazione al silenzio dettata da Davide Casaleggio – hanno deciso il silenzio. Cioè hanno deciso di scattare sull’attenti agli ordini del figlio del fondatore dei 5 Stelle. È normale tutto questo? Beh, magari con la vecchia storia della obbligatorietà dell’azione penale – di fronte a una notizia di reato – e con l’abitudine delle procure italiane di aprire inchieste gigantesche e costosissime anche per possibili (magari anche improbabili) episodi di corruzione di un migliaio di euro o giù di lì, uno ha il diritto a stupirsi un pochino. Qui ci troviamo di fronte a un’ipotesi clamorosa: che il regime di Chavez e poi di Maduro abbia coperto di milioni i 5 Stelle, chiedendo loro in cambio, si immagina, di influire a favore del Venezuela nella politica estera dell’Italia. Influenza che è stata poi esercitata.

Se voi pensate che qualche anno fa un ministro della Repubblica fu costretto alle dimissioni perché un imprenditore aveva regalato un orologio a suo figlio, un ragazzo, ed è stato costretto alle dimissioni dopo che i giornali avevano per vari giorni riempito le prime pagine con questo scandalo, ammetterete che uno resta di stucco quando nota che sullo scandalo Chavez-Cinque Stelle il silenzio è generale. Casaleggio ha anche fatto sapere di avere scritto una lettera al Presidente della Repubblica per chiedere a lui di intervenire in modo da mettere il silenziatore a giornali e Tv. Quali poi? Noi, Il Giornale e qualche tg Mediaset. Stop. Al Quirinale, per la verità, negano di avere ricevuto questa lettera. E dicono che casomai dovesse arrivare sarebbe irricevibile. Chissà perché Casaleggio ha detto di aver spedito una lettera che non ha mai spedito. Magari per dare più peso alla sua intimidazione nei confronti della stampa (intimidazione che avuto risultati eccellenti).

Ieri l’affare Venezuela è finito in Parlamento. Perché un deputato di Fratelli d’Italia, l’on. Lollobrigida, ha posto una domanda – in sede di Question Time – al ministro degli esteri Di Maio. Il quale ha risposto sostenendo che il documento che provava questi versamenti, pubblicato alcuni mesi fa dal quotidiano spagnolo Abc, era un documento falso. E che dunque la vicenda è chiusa. Ora, che quel documento fosse o no falso, è questione aperta. Ma il problema è che oggi non si parla più di quel documento ma della testimonianza chiara e forte di un generale venezuelano, ex capo dei servizi segreti. Lui dice che i soldi furono mandati a Milano in valigette diplomatiche e consegnati ai 5 Stelle. Di Maio, nel Question Time, non ha neppure accennato alla testimonianza del testimone prestigioso, né al fatto che la procura spagnola sta indagando, né alla novità di ieri, e cioè che il generale venezuelano ha fornito al magistrato i nomi di un certo numero di persone che possono testimoniare per sostenere la sua accusa.

Di Maio si è limitato a giurare che i 5 Stelle non hanno mai visto quei soldi. Naturalmente è molto probabile che il giuramento di Di Maio sia in ottima fede. Noi naturalmente non sappiamo se le accuse circostanziate del generale Carvajal siano vere o false, pensiamo però che in ogni caso, se i soldi fossero arrivati, nessuno lo avrebbe detto a Di Maio. Il quale, di conseguenza, pensa: “se ci avessero comprato, io lo saprei”, Eh, no, Gigi: quelli mica te le dicono le cose delicate… In tutta questa vicenda, e nella storia dell’omertà dei giornali, c’è un fatto ulteriore che mi ha colpito. Sul quotidiano del mio amico Marco Travaglio, al silenzio per questa vicenda esplosiva – particolarmente interessante, penso, per un giornale come Il Fatto che si occupa quasi esclusivamente della corruzione politica dei partiti e dei loro dirigenti – si è accompagnata una campagna, con titoloni in prima pagina, contro il generale Figliuolo. Leggete qui.

Prima pagina, caratteri cubitali: “Quattro capi di sartoria gratis a Figliuolo”. Con gran spargimento di foto sue e di altri militari. Poi leggi l’articolo nel quale si parla pochissimo di Figliuolo, e trovi esattamente questa frase: «Quella delle forniture è una contestazione che non ha nulla a che vedere con la posizione di Figliuolo, la cui iscrizione nel registro degli indagati è un atto dovuto, a sua tutela. E nelle prossime settimane la Procura di Roma potrebbe chiedere l’archiviazione». Dio mio – penso – ma di questo passo che fine farà il giornalismo italiano?

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.