La pandemia che sta imperversando come una furiosa tempesta sul nostro Paese ha strappato il velo di indifferenza che nascondeva la vergogna nazionale di un Mezzogiorno abbandonato a se stesso. È lo stesso premier Mario Draghi, intervenendo alla prima giornata del convegno “Sud – Progetti per ripartire” organizzato dalla ministra Mara Carfagna, a rivelare che il processo di convergenza tra Centro-Nord e Sud è sostanzialmente peggiorato dalla fine degli anni Settanta, con il prodotto interno lordo pro capite del Mezzogiorno che raggiunge oggi il 55% di quello delle regioni più sviluppate, perdendo dieci punti percentuali rispetto a quaranta anni fa. La crisi del 2008 ha accelerato la divergenza nel contesto delle politiche di austerity imposte dall’Unione europea, con l’effetto di far dimezzare in dieci anni la spesa pubblica per investimenti nel Mezzogiorno, passata da 21 miliardi di euro (2008) a poco più di 10 miliardi (2018).
Ora, una notevole quantità di risorse è finalmente disponibile per «aumentare – sono parole di Draghi – la spesa in infrastrutture fisiche e digitali, nelle fonti di energia sostenibili», precisando che «le risorse di Next Generation EU si aggiungono a ulteriori programmi europei che mettono a disposizione altri 96 miliardi per il Sud». Dunque 96 miliardi vanno sommanti ai 191,5 complessivamente destinati all’Italia. Gli fa eco, il presidente Vincenzo De Luca, che rivendica per il Sud la metà esatta delle risorse europee previste dal Next Generation EU, richiamando come esempio illustre lo sforzo di solidarietà nazionale intrapreso dalla Germania dopo la caduta del Muro di Berlino, per riunificare economicamente il paese e favorire lo sviluppo dei Länder dell’Est.
Opzione senz’altro condivisibile, ma non si può prescindere dal dato storico che l’Italia non è la Germania. Lo stesso Draghi, nel suo intervento al convegno, ha sottolineato che permangono due problemi: l’integrale utilizzo dei fondi europei (solo il 6,7% dei 47,3 miliardi di euro programmati dal Fondo europeo per lo sviluppo e la coesione 2014-2020, sono stati effettivamente spesi) e la capacità di completamento delle opere pubbliche (circa il 70% delle opere non finite è concentrato al Sud). A questi due problemi ne aggiungerei un altro, di cui si parla poco, ma che è quello più importante e cioè la presenza di criminalità organizzata che da sempre si alimenta voracemente di spesa pubblica. Queste risorse sono assolutamente necessarie per il Sud, sono la grande occasione da non perdere, ma l’effetto moltiplicativo di investimenti pubblici non deve alimentare la potenza del blocco sociale che è cresciuto in questi anni intorno al crimine organizzato.

La storia diventa davvero maestra di vita in questo caso. Ricordiamo quello che ha rappresentato per la Campania il terremoto del novembre 1980, i 56.000 miliardi di lire (pari a circa 29 miliardi di euro odierni) piovuti come manna dal cielo e intercettati dalle avide mani di imprese e cooperative legate ai clan camorristici locali. E si può ricordare la vicenda complessa della Piana di Gioia Tauro, oggetto di grandi progetti come la costruzione, mai realizzata, del quinto centro siderurgico, che doveva portare lavoro e benessere dove c’era miseria, e che la ‘ndrangheta ha utilizzato per fare il suo salto di qualità da organizzazione brigantesca a holding finanziaria internazionale.

O ancora ricordiamo le promesse fatte sul porto di Gioia Tauro, che doveva diventare il centro marittimo del Mediterraneo e che ora è di fatto uno dei principali centri di smistamento della coca sudamericana. Ricordiamo ancora gli investimenti per l’Alta Velocità ferroviaria intercettati dalla mafia casalese. E non occorre davvero ricordare quanto abbia pesato nella crescita della mafia corleonese, il vasto piano di lavori pubblici, ormai noto come “sacco di Palermo”,  favorendo quel complesso intreccio tra attività edilizia, connivenze politiche e criminalità organizzata che formò per tre decenni l’asse del potere in Sicilia.

Per una terra inaridita come quella del Mezzogiorno, la pioggia benefica della spesa pubblica è necessaria, ma non deve alimentare le zolle di malaffare. In questi tempi di vacche magre, il crimine organizzato ha saputo intercettare anche gli scarni flussi di spesa pubblica, lo evidenziano varie inchieste giudiziarie, e ha affinato la sua capacità di penetrazione nel tessuto economico legale, e non solo in Italia. Le menti raffinatissime di cui parlava il giudice Falcone, hanno sviluppato indubbie capacità imprenditoriali, agendo sui mercati illegali e reinvestendo i proventi su quelli legali, favoriti in questo dalla deregolamentazione dei mercati finanziari mondiali. Ciò che fu il piano di capitalismo criminale delineato da Michele Sindona negli anni Sessanta, oggi apparirebbe come una timida e dilettantesca operazione.

Chi vuole il rilancio del Mezzogiorno deve essere consapevole che il denaro da solo non basta, ma che occorre innanzitutto aprire gli spazi di democrazia, di trasparenza e di controllo civico. Non certo ingessando le procedure con inutili e farraginosi passaggi burocratici che, come si è visto, alimentano la corruzione più che ridurla, ma stabilendo meccanismi trasparenti di allocazione della spesa pubblica e monitorando i vari passaggi di realizzazione dei progetti. La necessaria modernizzazione del Sud non deve tradursi in un’altra occasione per rafforzare assetti sociali ingiusti e antiche forme di dominio, ma deve essere il volano per avviare finalmente la soluzione della questione meridionale. Se si perdesse questa occasione perderebbe tutto il Paese, non solo il Mezzogiorno.