L’accorato j’accuse a “questa Europa muta, impaurita e vile”, pubblicato ieri a firma di Biagio De Giovanni, sarebbe perfetto se nella legenda del titolo e dei più duri passaggi dell’articolo si fosse precisato che “Europa” è una sineddoche e indica l’insieme degli stati membri dell’Ue e il loro potere di azione e di veto sulle istituzioni europee.

In generale, comunque, io penso che tutti i sinceri federalisti europei dovrebbero contendere agli stati nazionali il dominio delle parole – a partire da: Europa – di cui la loro retorica tenta in ogni modo di travisare il significato. Dire “l’Europa che fa?”, purtroppo oggi equivale a dire: “Che cosa fanno i burocrati di Bruxelles”?, anche se a dirlo è un europeista come De Giovanni, sinceramente addolorato per le continue battute d’arresto subite dal processo di integrazione e per l’inevitabile fallimento della costruzione intergovernativa, di fronte a fenomeni globali – le migrazioni, le epidemie, gli squilibri demografici, le emergenze ambientali, con tutte le relative ricadute economiche – per cui ancora manca, proprio per volere degli stati, una vera sovranità europea.

Europa, non può essere il nome del problema, ma solo il nome della soluzione. Il nome del problema per me è: “non Europa” e i relativi costi in tutti i sensi della non Europa. Tutto ciò premesso, vengo al merito delle accuse di De Giovanni, che in larghissima misura condivido e parto da quello che è sempre più evidentemente il principale problema della governance economica europea, cioè il bilancio dell’Ue.

Lo stallo sulla proposta relativa al periodo 2020-2027 è esso stesso figlio dell’impossibilità di perseguire un interesse europeo come mera risultante della composizione degli interessi nazionali. Si è scritto molto sugli scontri tra Paesi “frugali” (Austria, Olanda, Svezia e Danimarca) e “ambiziosi” (i paesi dell’est e del Sud Europa, tra cui l’Italia) e sul ruolo di cerniera di Francia e Germania.

Rimane il fatto che la contesa, avviata prima che il Coronavirus si stagliasse all’orizzonte, era su quanti decimali il bilancio dovesse superare l’1% del Pil europeo e quali vecchi capitoli di spesa (in particolare per agricoltura e fondi di coesione) dovessero essere sacrificati ai nuovi impegni di bilancio, per dare una spinta all’economia del continente post Brexit. L’egoismo di bilancio, di cui scrive De Giovanni, è una somma di egoismi nazionali. Ora la pandemia mostra con chiarezza che non si può solo provare a raschiare il fondo del barile. Accrescere il bilancio europeo significa di fatto cedere sovranità economica e a questa cessione resistono soprattutto i politici più queruli e scandalizzati contro le “colpe dell’Europa”.