A porti ancora refrattari ad accogliere, è sbarcato in Italia il coronavirus, a riprova che chiudere i confini, in un mondo globalizzato, non può impedire la disseminazione e la diffusione di tutto ciò che si muove nello spazio di quel mondo dove tutti comunicano con tutti, e tutti si muovono ovunque. Avete visto quanti italiani erano nel focolaio primario cinese? La velocità della diffusione sta nello sparpagliamento delle relazioni umane, tutti stanno dappertutto, e tutto è, virtualmente e anche esistenzialmente, globale.

Si potrebbe dire che il coronavirus è una smentita clamorosa e tragica ai sovranismi, la prima purtroppo “vincente”: è oggi l’emblema della globalità, fino a ieri era la libertà di movimento del capitale finanziario. Non mi soffermo sulla tragicità di questa invasione, su quello che si prepara per l’economia e per le vite di tutti. Il mondo delle relazioni umane si chiude, e resta l’astrazione del mondo medesimo deprivato dei suoi punti solidi, tutto liquido, ma in un senso diverso da come previsto da Bauman, la liquidità qui corrisponde a un mondo vuoto dove circolano il virus, i medici e noi a mani alzate. I corpi non devono nemmeno sfiorarsi, l’ospite del tutto inatteso tiene banco, è un altro mondo quello che ci apprestiamo a vivere, per un tempo lungo, credo. È l’astrazione del mondo.

Quando ci si risveglierà, bisognerà ricomporre i pezzi di relazioni frantumate, ci vorrà molto tempo. Peggio della crisi 2008, che confronto! Allora il virus era nei titoli immobiliari, e nel fallimento di una Banca. Oggi esso vuole entrare nei corpi, c’è una bella differenza tra le due cose. Sotto questa grande astrazione reale, però, i corpi continuano ad esistere, la fisicità della geopolitica continua a insistere nei suoi moduli invalsi e consolidati. La Turchia, per vendicarsi del mancato appoggio dell’Europa alle sue mire siriane, apre i campi dove era concentrato qualche milione di profughi, che aveva accettato di tenere al caro prezzo, a suon di miliardi, pagato dall’Europa, e li fa precipitare verso i confini dell’Unione.

Lì si scontrano polizie contrapposte, chi spinge all’indietro i profughi, chi li spinge in avanti, qualche morto è già sul campo, un gioco infernale su corpi viventi. Mentre davanti alle coste greche le guardie costiere allontanano con mazze lunghe i barconi dei pochi disperati che vorrebbero sbarcare, mai visto nulla di simile. E si vede, perché oggi tutto “si vede”, la disperazione della loro solitudine, braccia al cielo levate a invocare qualcosa o qualcuno, ognuno nella sua lingua e nella sua cultura.

Dal mondo svuotato e reso astratto dal Coronavirus alla più pressante e tragica corporeità in quelle frontiere. Non c’è nessun racconto che possa mettere insieme le cose, delineando un destino. Non c’è qualcosa che somigli alla possibilità di una politica globale, nel senso di tener conto della nuova fisionomia del mondo, ora carico di astrazione, ora carico di corporeità, ora carico, nel caso attuale, di virus veri e propri, ora carico di virus umani, anime e corpi veri e propri che chiedono aiuto.

Rispetto ai quali le guardie costiere greche agiscono come il vaccino giusto: tutte cose che semplicemente si ignorano, anzitutto per terribili difficoltà oggettive, s’intende, ma pure per un’altra ragione che spaventa e sta sotto i nostri occhi: le classi dirigenti sono in stato comatoso, non c’è nessun pensiero, nessuna idea che attraversi il loro cervello, capace di parlare al mondo. Non dico che sarebbe facile, ma bisognerebbe provarci.

L’Europa è l’ombra di quel che poteva essere. Un corpo appesantito con poca, fioca luce dentro. La notizia che la Commissione ha dato qualche giorno fa, infuriando il Coronavirus, è che nel 2050 non ci saranno più emissioni. Non ho commenti da fare, il dibattito è tra la Commissione e Greta, la quale risponde che non basta. Intanto, l’Europa si disgrega, non lavora in comune per le emergenze improvvise, e non ha la minima idea di che cosa fare di quelle che saranno immigrazioni epocali. Si potranno sempre usare le mazze? Vendere i profughi alla Turchia la quale glieli rimanda indietro, ricattandola. Un brutto mondo, non ho altro commento.