L’attuale dibattito sulla possibilità di vietare ai non vaccinati (anche se “tamponati”) determinate attività sociali ripropone in termini sempre più esigenti il tema dell’efficacia e, ancor prima, della costituzionalità delle misure introdotte per contrastare l’attuale emergenza pandemica. Per affrontare tale questione occorre partire da un presupposto indispensabile: l’efficacia della vaccinazione nel prevenire e, quindi, debellare la diffusione del Covid-19 è stata dimostrata in sede scientifica e trova conferma, agli occhi dell’opinione pubblica, nel fatto che i vaccinati rispetto a quanti non lo sono contagiano meno, vengono meno ricoverati negli ospedali e sono quasi assenti nei reparti di terapia intensiva.

Tutti argomenti che si ritrovano ora nella corposa recente sentenza del Consiglio di Stato (7045/2021 del 20 ottobre) in cui, nell’affermare la legittimità degli atti delle Asl del Friuli-Venezia Giulia nei confronti dei non vaccinati, il massimo giudice amministrativo ha evidenziato come il carattere non sperimentale dei vaccini anti-Covid ne giustifichi l’obbligo che tutela, al tempo stesso, sia il personale sanitario, sia gli utenti, in attuazione del dovere di solidarietà sociale sancito dall’art. 2 Cost. Sulla base di tale fondamentale premessa, finora il legislatore (ma sarebbe meglio dire il Governo) ha scelto la strada della persuasione anziché quella dell’obbligo. Una strada certo più difficile ma che probabilmente, visto le resistenze incontrate, ha permesso di conseguire – in modo meno drastico, con minori tensioni sociali e forse più efficace – gli stessi risultati che, come diremo, si sarebbero ottenuti con l’obbligo vaccinale. Ciò cercando sempre di sacrificare le libertà individuali in modo proporzionato e ragionevole rispetto all’interesse della collettività al non diffondersi della pandemia. Per questo motivo, in un’ottica di graduale e progressivo bilanciamento tra mezzi e fini, la vaccinazione è stata dapprima solo raccomandata; poi imposta (in alternativa però alla sottoposizione a tampone) come requisito obbligatorio temporaneo per chi voleva compiere determinate attività sociali o svolgere un’attività lavorativa (prima specifica come per scuole e ospedali, ora generalizzata).

È in quest’ottica di progressivo ampliamento delle restrizioni cui sono sottoposti i non vaccinati che si discute ora – per contrastare la cosiddetta quarta ondata e sulla scia del modello austriaco – di vietare loro l’accesso a determinate attività sociali non essenziali (bar, ristoranti, palestre, cinema, teatri), consentendo l’uso del tampone (che dimostra peraltro lo stato di salute solo del giorno in cui è stato fatto) esclusivamente per accedere ai luoghi di lavoro. Una misura ancor più drastica che rappresenterebbe un deciso passo in avanti verso l’opzione ultima costituita dall’introduzione dell’obbligo di vaccinazione per tutti. Misura estrema che, anzi, taluni ritengono a questo punto preferibile sia perché espressamente prevista in Costituzione, sia perché più lineare e chiara rispetto all’introduzione di misure selettive a carico esclusivamente dei non vaccinati. Se però la Costituzione espressamente prevede l’introduzione per legge di trattamenti sanitari obbligatori per tutti, come i vaccini sono, pare evidente che misure meno drastiche, quali quelle che consentirebbero comunque ai non vaccinati di poter comunque continuare a circolare liberamente per strada e, previo tampone, di poter continuare a lavorare sarebbero pienamente conformi a Costituzione. Come è stato efficacemente detto (Marini): nel più sta il meno.

Se così è, allora la vera questione non è tanto la costituzionalità delle misure che si vorrebbero introdurre, quanto a quali conseguenze debbano andare incontro quanti non si sottopongono alla vaccinazione (obbligatoria o facoltativa che sia) e quale sia la loro efficacia rispetto all’obiettivo ultimo di indurre le persone a vaccinarsi per limitare la diffusione del virus. Difatti, anche se il vaccino fosse un obbligo di legge, rimarrebbe sempre il problema di come farlo rispettare da parte di quella quota percentualmente marginale ma comunque numerosa di persone che finora non si sono volute vaccinare e che hanno dimostrato di essere assolutamente impermeabili a ogni pur doveroso tentativo di informazione e persuasione. Per questo, rispetto all’obiettivo di aumentare la percentuale di vaccinati, l’alternativa tra vaccino obbligatorio o vaccino fortemente incentivato è in realtà un falso problema perché in entrambi i casi si tratta di ragionare su quali debbano essere le sanzioni, dirette o indirette, cui va incontro chi non si vaccina e quale sia la loro effettiva efficacia.

Basterebbe guardare indietro per rendersene conto. Quando ci si accorse che la quota di genitori che non sottoponevano i loro figli alle vaccinazioni dal 1999 soltanto raccomandate, compromettendo così la cosiddetta immunità di gregge, il legislatore (decreto legge n. 73/2017) non solo reintrodusse l’obbligo per i minori di 16 anni di sottoporsi a sei vaccinazioni (contro pertosse, morbillo, rosolia, parotite, varicella, influenza di tipo B) ma soprattutto si preoccupò di corredare tale obbligo con il divieto di frequenza per le scuole dell’infanzia e materne e, per le successive scuole dell’obbligo, con sanzioni pecuniarie (da 100 a 500 euro) a carico dei genitori inadempienti. La scelta del legislatore di puntare sull’obbligo di vaccinazione, anziché sulla persuasione, è stata peraltro giudicata ragionevole perché fondata su dati di fatto ed espressione del dovere di solidarietà (art. 2 Cost.) nei confronti degli immunodepressi che non possono vaccinarsi (C. cost. 5/2018, 186/2019).

Se una disposizione senza sanzione in caso d’inosservanza degrada a mero consiglio, allora non è tanto importante discutere se il vaccino vada o no reso obbligatorio, quanto prevedere in ogni caso conseguenze sempre più stringenti per quanti non vi si sottopongono a tutela di quanti, e sono la stragrande maggioranza, si sono vaccinati a beneficio loro e dell’intera collettività e che hanno diritto per questo motivo di veder tutelata la loro salute da chi è più in grado di minacciarla.