Lo scontro con il presidente della Fed
Trump e la guerra interna al pidocchioso Powell per i pieni poteri… ma il dollaro non è in crisi come dice

Chi Donald Trump non riesce a digerire è l’attuale Presidente della Federal Reserve, l’uomo che stabilisce il costo del denaro e che si rifiuta di accontentare il presidente Trump che vorrebbe un taglio subito. Trump sa che a Jerome Powell mancano ancora undici mesi per finire il suo mandato, ma Donald non molla e lo attacca continuamente, sperando di metterlo in fuga e sostituirlo con un suo “presidente ombra”.
Trump si rivolge con parole come queste: “Se decidesse di togliersi subito dai piedi, ne sarei felicissimo visto il lavoro di schifo che ha fatto”. E usa l’aggettivo “lousy” che vuol dire pidocchioso, da quattro soldi. Sta di fatto che il dollaro quest’anno ha avuto la partenza più fiacca dal 1973, poco più di mezzo secolo fa e – per chi c’era e ricorda – quell’anno fu un “annus horribilis”, perché ad ottobre l’Egitto e la Siria, armati con un esercito moderno fornito dalla Russia sovietica, decisero di attaccare Israele durante la sacra festività di Yom Kippur il 25 ottobre, sorprendendo L’IDF israeliano, nonché la sua sopravvalutata agenzia di spionaggio, il Mossad. Lo stesso Mossad che il 7 ottobre di due anni fa non seppe prevenire l’orrendo pogrom che aprì la guerra di Gaza. Nel 1973 Israele riuscì a circondare gli egiziani sul Sinai quando il generale Sharon varcò il Canale di Suez puntando dritto su Cairo.
Era mezzo secolo fa. Chi ha assistito ai fatti e ne ha vissuto il clima sa che il terrore di allora non è paragonabile con oggi. È vero, il dollaro parte fiacco e Trump ne dà la colpa al presidente della Fed che non si decide ad abbassare i tassi che a suo parere sono troppo alti per promuovere il rilancio economico garantito ai suoi elettori. E c’è da aggiungere che Trump sta abbattendo con la sua artiglieria di parole tutti gli inespugnabili check-and-balances (pesi e contrappesi, ndr): i contropoteri autonomi che dovrebbero impedire a un Presidente americano – come al poker – di essere sicuro di avere il punto più alto. Invece la Corte Suprema anziché essere ostile al Presidente non si oppone quasi ad alcuna sua richiesta. In fondo, la democrazia americana non è un manuale di diritto costituzionale, ma un tomo storico in cui si legge, sentenza dopo sentenza, come le leggi abbiano fatto la storia degli Stati Uniti insieme agli emendamenti. Trump governa sovrano: ha già dalla sua tutti i servizi segreti esterni, l’FBI e la Corte Suprema che influenzano tutti i circuiti della Giustizia. Quindi Trump è indiscutibilmente nella pienezza dei suoi poteri non soltanto per avere vinto le elezioni di novembre, ma perché ha dalla sua tutti i corpi dello Stato e della giustizia che negli anni della presidenza Biden avevano fatto di lui un pregiudicato e, per completare l’opera di occupazione del potere quasi completa, gli manca soltanto il suo uomo alla Fed, un lusso che pochi presidenti si sono potuti permettere.
Cinquant’anni fa una guerra nel Medio Oriente come fu quella dell’ottobre del 73 aveva il potere di intimidire tutti i mercati, rivoluzionare tutti i prezzi, imporre crisi di austerità talvolta comiche come l’obbligo di usare la bicicletta. Cinquant’anni dopo siamo nel mezzo di una feroce guerra tra Israele e Hamas che secondo Trump potrebbe chiudersi tra poco (tralasciando qui quella ucraina) mentre emerge come unico dato negativo la magra partenza nel valore del dollaro, mai così bassa da oltre mezzo secolo. Il presidente americano ha intanto rotto le trattative sui dazi con il Canada perché il Canada ha deciso di aumentare le tasse alle imprese in digitali americane: “Questo è un brutale attacco che il Canada pagherà con nuove tasse sui loro business negli Stati Uniti”. Benché debole rispetto alle sue passate performance il dollaro non è mai stato così forte sul piano mondiale quale che ne sia il valore di mercato dopo la fine degli accordi di Bretton Woods del 1973.
Da allora tutti i tentativi delle altre monete o cartelli di valute (con cui soppiantare il dollaro come valuta di scambio, il sogno dei Brics) sono miseramente falliti specialmente perché l’unica che regga sul piano internazionale è lo Yen cinese purché conservi il 13-17 per cento del mercato americano. Ai tempi della crisi di mezzo secolo fa corrispondeva un mondo oggi del tutto scomparso: una guerra in Medio Oriente come quella del ‘73 dava tutto il potere all’Opec, il cartello dei produttori di petrolio, perché facesse dell’Occidente ciò che voleva. Ma da quando gli Stati Uniti sono indipendenti dall’energia altrui e anche l’Europa ha cominciato a svegliarsi dal letargo energetico pro-russo, per quanto la crisi mediorientale possa essere drammatica, non è più comunque in grado di minacciare il benessere dell’Occidente nel suo complesso e meno che mai quello degli Stati Uniti d’America. Vedremo che ne sarà del povero Powell e del suo pensionamento dalla Fed. Ma il destino del dollaro non appare in pericolo.
© Riproduzione riservata