Cambiare i valutatori per cambiare le valutazioni di professionalità dei magistrati, affiancando l’avvocatura e l’Accademia alla magistratura, spezzando così il potere delle correnti: è questo il cuore delle proposte in tema di riforma dell’Ordinamento giudiziario e del Csm che ieri l’Unione Camere Penali Italiane ha presentato durante una conferenza stampa alla Camera.

Il Presidente Gian Domenico Caiazza e l’avvocato Rinaldo Romanelli, responsabile dell’Osservatorio Ordinamento Giudiziario dell’Ucpi, hanno illustrato gli emendamenti al testo Bonafede già inviati alla Ministra Cartabia, ai sottosegretari di Stato alla Giustizia, e ai capigruppo della Commissione Giustizia. «Si tratta di punti nodali indispensabili – ha detto Caiazza – per una riforma strutturale dell’ordinamento, a partire dalla responsabilità professionale dei magistrati». Fino ad ora, con valutazioni positive al 98%, il criterio per vedersi assegnato un incarico semi-direttivo o direttivo non è stato il merito ma l’appartenenza alla corrente più forte. E allora l’Ucpi chiede di modificare il sistema, con particolare attenzione agli organismi direttivi: «Si pensi al Consiglio Direttivo della Cassazione, dove si è proposto il dimezzamento del numero dei Magistrati, prevedendo che lo stesso, […], sia composto da 3 Magistrati giudicanti, da un requirente e da un Avvocato (che riequilibrerebbe la presenza del requirente) e due rappresentanti dell’Accademia». Con lo stesso spirito si propone la rimodulazione dei Consigli Giudiziari, i mini Csm distrettuali, «accordando anche ai non togati una inevitabile pienezza dei poteri».

Ma le modifiche centrali riguardano appunto le valutazioni che con l’attuale sistema non permettono di promuovere i migliori. Per una reale differenziazione di soggetti meritevoli di avanzamenti di carriera «si è immaginato di aggiungere ai tre giudizi attualmente esistenti (positivo, non positivo e negativo), un quarto “più che positivo”, con l’introduzione di voti». Inoltre, «si è ritenuta ineludibile un’incidenza sulla valutazione di professionalità della “tenuta” delle proprie attività nelle fasi e nei gradi successivi». Come ha detto l’avvocato Romanelli «se un giudice monocratico emette 200 sentenze all’anno e di queste 180 vengono riformate in appello dobbiamo porci delle domande sulle sue capacità».

Altro «importante snodo è rappresentato dalla Scuola della Magistratura, che si è voluta aprire alla formazione condivisa con l’Avvocatura, in modo da costruire una “palestra intellettuale” efficace e condivisa». Per quanto concerne l’ingresso in Magistratura, «si è esclusa la possibilità di accedere al concorso con la sola laurea, prevedendo altresì, in aggiunta a quello ordinario, un reclutamento laterale per concorso di due differenti fasce di Avvocati con almeno otto e sedici anni di esercizio della professione», come già avviene similmente in Francia. Poi, con riguardo al problema del ricollocamento di magistrati che si sono candidati o che sono stati eletti in qualche elezione politica si è prevista «la necessità di rendere più rigidi i paletti per il reintegro nelle file della Magistratura, prevedendone anche un distacco presso ruoli ministeriali».

Per contenere poi «il ruolo di “quarta Camera” ormai sempre più diffuso, si è esclusa la possibilità per il Csm di rendere pareri sui ddl e di attribuirsi competenze che non siano esplicitamente previste per legge; prevedendo anche, per contenere le spartizioni fra correnti del Consiglio, una modifica della composizione della Segreteria e dell’Ufficio studi del Csm», quelli che appunto preparano i fascicoli per le valutazioni dei magistrati.