L'intervento
Un diritto sapere cosa hanno fatto i comitati
La fase 1 dell’emergenza Covid-19 è terminata e con la fase 2 dovremmo andare lentamente verso la normalizzazione della vita. Ma il rischio di un nuovo lockdown incombe sempre: se il numero dei contagi dovesse tornare a salire, “chiuderemo il rubinetto delle riaperture”, ha tuonato il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, nel corso della sua ultima diretta televisiva. È un fatto ormai assodato che il popolo italiano ha affrontato con grande compostezza e senso di responsabilità la fase 1, ha sopportato straordinarie limitazioni ai suoi diritti costituzionali, mai verificatesi prima nella storia repubblicana.
Le misure emergenziali messe in campo dal Governo hanno limitato: il diritto al lavoro (art. 4 Cost.), la libertà personale (art. 13 Cost.), la libertà di circolazione e di soggiorno (art. 16 Cost.), di riunione (art. 17), di esercitare in pubblico il culto religioso (art. 19), di prestazione personale (art. 23), d’insegnamento (art. 33) e di studio (art. 34), d’iniziativa economica (art. 41 Cost.). Tutti questi diritti, che possono essere incisi, a seconda dei casi, solo per legge o per atto dell’Autorità Giudiziaria, sono stati invece compressi con meri atti amministrativi, per ciò stesso sottratti all’esame del Presidente della Repubblica e del Parlamento, nel dichiarato intento di tutelare un altro diritto parimenti costituzionale come quello alla salute (art. 32 Cost.), e tuttavia dimenticando che, proprio ai sensi di tale norma, nessun trattamento sanitario può essere imposto se non per legge.
Superata la fase 1, ci chiediamo se sia giusto che rimangano avvolte nel mistero valutazioni dei vari comitati tecnico-scientifici che hanno indotto il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Governo ad adottare queste misure. Perché di mistero si tratta, non di segreto di Stato! Queste motivazioni, contenute in appositi verbali, non sono state vincolate col segreto di Stato, e quindi dovrebbero essere liberamente accessibili dai cittadini, in virtù del principio di trasparenza, criterio fondamentale per il corretto esercizio della funzione amministrativa, a garanzia del principio di imparzialità e buon andamento della Pubblica Amministrazione, contenuto nell’articolo 97 della Costituzione.
Trovando inconcepibile che, in una matura democrazia occidentale come la nostra, ancorché nella fase emergenziale che stiamo ancora vivendo, possano rimanere oscure le motivazioni tecnico-scientifiche di atti governativi che tanto hanno inciso sulle nostre vite, il 16 aprile 2020, abbiamo quindi formulato, ai sensi dell’art. 5, comma 2, del D. Lgs. 33-2013, una richiesta di acceso agli atti, indirizzata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, per ottenere copia dei verbali dei comitati tecnico-scientifici. A questa richiesta, il Capo della Protezione Civile, dott. Angelo Borrelli, ha opposto un espresso diniego appellandosi all’art.5-bis del D. Lgs n.33/2013, che consente di vietare l’accesso nei casi previsti dall’art. 24, comma 1, lettera c), della Legge n.241/1990, quando cioè si tratti di “attività della pubblica amministrazione diretta all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione”.
Una motivazione, questa, che non convince, e quindi ricorreremo al Tar Lazio avverso il provvedimento di diniego, e a tal fine abbiamo promosso la formazione di un comitato che sosterrà tutte le necessarie azioni giudiziarie utili a fare luce sull’operato del Presidente del Consiglio e sul Governo, trovando subito l’adesione del prof. avv. Federico Tedeschini, dell’avv. Ezechia Paolo Reale e dell’avv. Nicola Galati, coi quali formeremo il relativo collegio difensivo. Il fatto si è che quella norma è stata formulata in quei termini per il semplice motivo, evidentemente ignorato dal dott. Borrelli, che in tali casi l’Ordinamento già prevede altre forme di pubblicità ancora più pregnanti e garantiste sul fronte della trasparenza, che si sostanziano nella pubblicazione obbligatoria di quegli atti su albi pretori, bollettini e Gazzetta Ufficiale.
Nella lettera del dott. Borrelli c’è poi una chicca finale, quando conclude riservando alla sua Amministrazione di “valutare l’ostensibilità, qualora ritenuto opportuno, di tali verbali al termine dello stato di emergenza”, con ciò implicitamente riconoscendo che non esiste alcuna ragione di segretezza, e per ciò stesso di stare agendo senza rispettare il principio di trasparenza, che è tale solo se si accompagna, in tempo reale, ai provvedimenti che siano stati emessi. Al di là della legittimità dei Dpcm, su cui ci riserviamo di tornare in seguito, siamo convinti che i cittadini hanno il diritto di conoscere subito, e non soltanto a emergenza conclusa, quali siano state le motivazioni che hanno giustificato le forti limitazioni di molti dei loro diritti costituzionali, così potendo valutare se la compressione subita sia stata proporzionata al rischio sanitario, sia per quanto riguarda la natura e l’ampiezza delle misure adottate, sia per quanto riguarda la loro durata; non senza considerare che la conoscenza delle motivazioni consentirebbe una maggiore consapevolezza del rischio sanitario e propizierebbe una più attenta osservanza delle restrizioni imposte, in un’ottica di crescente responsabilizzazione.
E sin d’ora vogliamo esprimere tutta la nostra preoccupazione per la scelta del dott.Borrelli, ma sostanzialmente del Governo, in un Paese democratico come ancora è il nostro, di oscurare le motivazioni tecnico-scientifiche delle sue decisioni, coprendo gli atti pregressi con un velo di segretezza surrettizia, perché nemmeno dichiarata nelle forme di legge. La nostra Democrazia non consente a nessuno, nemmeno al Presidente del Consiglio dei Ministri, di sottrarsi al giudizio dell’opinione pubblica man mano che va operando nell’esercizio delle sue funzioni istituzionali.
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