«Sono in tanti a meritare il castigo… e c’è così poco tempo» (dal diario di Rorschach, 13 ottobre 1985).  Nella realtà ucronica creata dalla straordinaria graphic novel scritta da Alan Moore e illustrata da Dave Gibbson esistono i “watchmen”, i “guardiani” dell’ordine, giustizieri mascherati che puniscono i criminali, avventurieri in costume che operano dove non può giungere la Legge o non vuole arrivare il Governo. I Watchmen sono supereroi senza superpoteri che vigilano sul mantenimento dell’ordine pubblico e proteggono i cittadini, operando anche al di là dello stato di diritto se necessario.

Castigatori severi di una società corrotta. Gli esseri umani non sono in grado di auto-governarsi: i watchmen sono i Custodi dell’ordine. «Noi vediamo oltre i colori dell’arcobaleno. Quei bei colori nascondono come il mondo è in realtà: bianco e nero» dice Angela Abar nel sequel di Damon Lindelof prodotto da HBO nel 2019.  In queste settimane di stato di emergenza gli incubi favoleggiati dalla letteratura distopica sembrano diventare realtà: è tornata sulle pagine di cronaca l’immagine salvifica del vigilante. Certo, non è necessario evocare un supereroe mascherato a caccia di criminali con il favore delle tenebre: ognuno di noi può essere il watchman della sua comunità, basta affacciarsi dal balcone di casa.

Una “finestra sul cortile” per vigilare sui comportamenti degli altri: si può denunciare un vicino uscito una volta di troppo a portare il cane; segnalare il runner che si allontana più di cento metri da casa; fotografare chi si siede su una panchina senza un comprovato motivo; additare uno sconosciuto che indossa male la mascherina. Perfino mettere il naso nelle vite (e negli scontrini) degli altri è lecito se questi si abbandonano a spese non essenziali o a comportamenti a rischio. Basta poco per contribuire a raddrizzare le storture della società in quarantena! E nascosti dietro le serrande domestiche non abbiamo neanche bisogno della maschera di Rorschach…

Chiamiamo le forze dell’ordine – purtroppo ancora le uniche legittimate a multare i trasgressori – o, più prosaicamente, postiamo le foto dei colpevoli sui social per attivare i feroci commentatori dei gruppi d’azione denominati “segnalazioni per coronavirus”. Tutti vigilanti e vigilati, sorveglianti e sorvegliati, come nei sogni proibiti di Jeremy Bentham, l’inventore del Panopticon. Lo spione da divano, vigilante intransigente, garantisce il rispetto delle regole del lockdown. E le regole, si sa, non possono essere criticate, ma vanno fatte rispettare con ogni mezzo disponibile. Insomma, una figura prima disprezzata – quella del delatore che compie l’ignobile azione di “fare la spia” alle autorità – diventa paradigma di indignata moralità ai tempi del coronavirus. Le segnalazioni dei watchmen più fortunati possono perfino sperare di finire in televisione.

«Ecco Barbara, Barbara! L’uomo ha aumentato il passo e sta scappando, lo stiamo inseguendo! Si sta allontanando tra le case e lo stiamo inseguendo! Andrea, inquadra!». L’inviata di Pomeriggio Cinque, a bordo dell’elicottero di vigilanza della Guardia di Finanza, sorvola il litorale veneto e, proprio a seguito della provvidenziale segnalazione di un cittadino modello, insegue in diretta per Barbara D’Urso un passeggiatore solitario. In fuga, come un pericoloso latitante pluriomicida.

Torniamo alla finzione. La narrazione stratificata e complessa del romanzo a fumetti di Alan Moore ha molte altre cose da insegnarci. L’immaginario del supereroe senza macchia e senza paura esce a pezzi da quelle pagine: i watchmen sono piuttosto degli (anti)eroi deviati, pieni di falle e di contraddizioni, narcisi senza scrupoli e bugiardi vanagloriosi. L’ambiguità linguistica del titolo suggerisce l’ambivalenza dell’etica del vigilantismo: il watchman è anche un “orologiaio”, vuole aggiustare, modificare e manipolare a proprio piacimento gli ingranaggi del sistema. “The end is nigh, la fine è vicina”, così è scritto nel cartello tenuto spesso in mano da Rorschach. La narrazione gioca di continuo con lo spettro dell’Apocalisse: i personaggi – sorpassando costantemente il confine tra lecito e illecito – vogliono proteggerci dal male e ne diventano la causa, vogliono evitare la catastrofe e ne accelerano l’avvento. Come gli eroi della tragedia antica – vittime della loro superbia, la hybris greca – si pensano infallibili come gli dei, ma mettono in mostra i peggiori vizi degli uomini; si proclamano salvatori che porranno fine all’epidemia di peste, ma scoprono di essere loro stessi il miasma che appestava la città.

La strada verso l’inferno, lo sappiamo fin troppo bene, è lastricata di buone intenzioni: sempre meglio essere sospettosi nei confronti di chi dice di operare per il nostro bene. Non è affatto “ridicolo”, contraddicendo il non molto democratico Platone della Repubblica, «che un custode abbia bisogno di un custode». Lo testimonia la massima latina delle Satire di Giovenale, resa famosa proprio da Watchmen: «Pone seram, cohibe, sed quis custodiet ipsos custodes?». Spranga la porta, impedisci di uscire, ma chi controllerà gli stessi controllori? Who Watches the Watchmen? Prima di trasformarci definitivamente in una società divisa tra ferventi giustizieri al servizio dell’ordine pubblico e vittime di una sommaria gogna mediatica alla ricerca dell’ultimo untore, domandiamoci ancora una volta: a chi, se non a noi, è affidata la custodia dei custodi?