La vicenda del Qatargate occupa le prime pagine dei giornali da ormai diversi giorni. L’episodio è stato interpretato come assai grave. Secondo molti commentatori, esso ha gettato discredito sia sulle formazioni politiche del centrosinistra, sia sulle stesse istituzioni europee, minando la loro credibilità. Che la vicenda abbia peggiorato l’opinione dei cittadini del nostro paese (ma probabilmente anche di altri) nei confronti delle forze “progressiste” è fuori di dubbio.

Un tempo queste ultime avevano assunto l’emblema del “Partito degli onesti”, vantando in ciò una pretesa differenza – quasi antropologica – rispetto agli esponenti delle forze di centrodestra, sia sul piano etico, sia su quello dei comportamenti adottati nella pratica. Questa caratteristica è stata per molti anni (e ancora di recente) uno degli elementi di comunicazione della sinistra in Italia, una sorta di attributo da vantare con orgoglio. Ma il tempo ha mostrato, attraverso svariati episodi – tra i quali il Qatargate non è che l’ultimo in ordine di tempo – che “la carne è debole” e che tutte le forze politiche – indipendentemente dalla loro collocazione – possono essere coinvolte in episodi di malaffare o di disonestà.

Ci sono già effetti sull’opinione pubblica. Un sondaggio di Euromedia, condotto da Alessandra Ghisleri, mostra una ulteriore erosione di voti al Pd, dovuta, afferma la ricercatrice, proprio al Qatargate. E, nella stessa ricerca, emerge come una quota significativa di elettori ritenga che “la politica sia tutta marcia ma i Dem lo siano più degli altri”. Anche i dati Swg, pubblicati successivamente, evidenziano un ennesimo calo di consensi (virtuali) dei Dem. A livello internazionale, quanto è accaduto ha già portato a una minore fiducia dichiarata per l’Unione europea, ma, in particolare, per il nostro paese. Come fa notare Luca Ricolfi nella sua intervista al “Fatto Quotidiano”, nella stampa straniera si parla sempre più dell’ ”Italian Job”, assumendo che quando si tratta di affari loschi, c’è sempre un italiano coinvolto (il che, alla luce dell’esperienza, non è affatto vero). Resta il fatto che quanto è accaduto fa male all’Italia ed ai paesi che al nord dell’Europa chiamano ironicamente il “club Med”.

Gli effetti sull’opinione pubblica – e sulle relazioni internazionali -, dunque, ci sono già stati e forse si intensificheranno in futuro, quando si verrà a conoscenza di altri dettagli della vicenda. Perché, per ora, molti aspetti lasciano dubbi sull’intero episodio e fanno sospettare che dietro ci sia ben altro e da diverso tempo. Svariati elementi portano a questa supposizione. Ad esempio, l’entità delle somme intercettate sin qui. Che sono obbiettivamente modeste. È vero che quelli scoperti sono già un sacco di soldi, ma, per quel che se ne sa, come osserva anche Mauro Calise sul “Mattino”, nei casi di corruzione internazionale circolano di solito cifre molto maggiori e consistenti. Che non sono regolate in contanti, ma su conti cifrati nei paradisi fiscali. Quelle di cui si è parlato sembrano una sorta di mance o di cash destinato ad essere distribuito ulteriormente. Anche i personaggi coinvolti sino ad ora non sembrano perdipiù di primo piano: in particolare Eva Kaili è stata nominata vicepresidente del Parlamento Europeo solo nel Gennaio 22 e non ha mai assunto un ruolo significativo nel Parlamento europeo.

Inoltre, non è molto chiaro quale significativa influenza abbiano avuto Panzeri e gli altri indagati sulle decisioni del Parlamento: tutto questo intrigo solo per ottenere qualche dichiarazione compiacente nei confronti del Marocco o del Qatar? Dunque, sotto tutto il fumo emerso sin qui, c’è probabilmente ben altro arrosto. Va ricordato che la decisione di assegnare il campionato di calcio al Qatar è di molto tempo fa e va ricondotto all’epoca della presidenza Sarkozy in Francia. Forse, l’emergere proprio oggi dello scandalo potrebbe in realtà essere indirizzato soprattutto a gettare discredito sull’UE da parte di chi ha assunto una posizione e un atteggiamento di ostilità nei confronti delle istituzioni europee, in un momento particolarmente delicato per queste.

Dopo una fase di ritrovata coesione, specie in occasione della reazione unitaria alla minaccia del Covid, l’UE sta infatti attraversando un periodo di relativa difficoltà, minata dai numerosi dissidi interni sulle relazioni con la Russia e, specialmente, sulla politica energetica e la gestione dell’emergenza sulle forniture di energia. Con uno dei paesi protagonisti, la Germania, che assume posizioni non sempre nette e costruttive per la coesione degli stati membri. Insomma, le istituzioni europee paiono vivere oggi una condizione di relativa debolezza, opportuna per sferrare nuovi attacchi all’istituzione in questione da parte di chi considera l’Unione come una minaccia o, quantomeno, una presenza fastidiosa. Ciò nonostante, va ricordato che, proprio in questo stesso periodo le istituzioni europee stanno, per altri versi, lavorando molto bene: ad esempio nei confronti delle violazioni sui diritti rilevate in alcuni stati membri come l’Ungheria o la Polonia.

In quest’ultimo caso è evidente come la UE difenda – e spesso ottenga – l’esistenza di una anche minima forma di separazione dei poteri e di indipendenza del potere giudiziario all’interno delle nazioni che ne fanno parte. Ma tutta l’enfasi mediatica sulla vicenda della corruzione porta, inevitabilmente, a dire assai poco – se non nulla – su tutto quanto di positivo fa l’Unione. Molto opportunamente, in un editoriale sul “Carriere della Sera”, Sabino Cassese ha ribadito come proprio quanto à accaduto mostri che “Il Parlamento Europeo conta molto più di quanto si creda” e che, al tempo stesso, negli ultimi giorni, il PE ha saputo “reagire e decidere sollecitamente”.

Ma, al di là di Cassese, pochi hanno sottolineato questo elemento: la scarsità di attenzione sul ruolo e sulle iniziative del PE è, di fatto, un effetto collaterale dello scandalo, da cui per ora si fa fatica ad uscire. Di qui la necessità, a nostro avviso, di un’azione e di una comunicazione volta proprio in questo momento a rafforzare l’Unione, ad esplicitarne il ruolo positivo ed essenziale e ad aiutare a portarla fuori dalla tempesta in cui si trova in questo periodo: l’Europa è necessaria.

Renato Mannheimer, Pasquale Pasquino

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