L'intervento
A Roma non era Mafia Capitale ma una mini Tangentopoli
Non c’è materia di ispettori del ministero, caro ministro Bonafede. Lo stato di diritto funziona così. Siccome la Cassazione ha smontato tutto il teorema costituito dal procuratore Pignatone su mafia capitale tutte le pene andavano ridimensionate. Comunque Carminati ha fatto larga parte dei suoi 5 anni di carcere al 41bis e per di più ha dovuto aspettare i mesi di stesura della motivazione della sentenza. Anche se in questi anni lo stato di diritto è stato smantellato per larga parte dai Borrelli, Davigo, Di Pietro, Di Matteo, De Magistris, Woodcook e compagnia bella ancora qualche pezzo di esso rimane e ci stanno magistrati giudicanti e della sorveglianza che lo fanno rispettare, anche se ciò provoca le crisi di nervi in diretta televisiva di Massimo Giletti.
Tuttavia non ci vogliamo fermare a questi aspetti più banali della sentenza della Cassazione. Le motivazioni della Corte vanno lette in profondità perché esse inchiodano il sistema politico ed economico romano in modo assai più penetrante di quanto paradossalmente non avesse fatto lo schema elaborato da Pignatone. Secondo Pignatone le forze politiche e i gruppi economici romani in un certo senso erano stati costretti alla corruzione, alla manipolazione degli appalti, alle nomine di burocrati compiacenti dalle pistole spianate di Carminati e camerati, con la conseguenza di dar luogo allo status mafioso di Roma Capitale. Questa interpretazione ci ricorda tanto le lettere al pool di Mani Pulite inviate nel 1993 dalla FIAT e dalla CIR (Romiti e De Benedetti) nelle quali i cosiddetti “poteri forti” si prosternavano alla eticità dei magistrati inquirenti di Milano. Poi, per sfangarla sul piano giudiziario, essi dichiaravano di essere le vittime della protervia dei politici, vil razza dannata, che li avevano concussi e costretti a pagare tangenti come se essi non fossero dotati di un tale potere mediatico che, se avessero voluto, avrebbero potuto spazzare via il sistema di Tangentopoli dalla sua nascita. Ma invece fino al trattato di Maastricht quel sistema andava benissimo agli imprenditori di tutte le dimensioni.
Veniamo a Roma. Nel momento in cui con Alemanno il centro-destra conquistò il comune allora fu ricontrattato tutto il sistema di potere che regolava i rapporti fra i gruppi economici e le forze politiche: il perno dell’operazione non era Carminati, per molti aspetti folclore che però consentiva ad alcuni giornali e ad alcuni gruppi politici di dimostrare a se stessi e al pubblico quanto erano antifascisti, quanto Buzzi che non era un personaggio di poco conto, ma il capo delle cooperative rosse che costituiva il cuore del sistema di potere del PCI-PDS. Ciò è confermato anche da alcune intercettazioni telefoniche nelle quali qualche malcapitata parlamentare del PD lo appellava appunto “capo”. Buzzi era per Alemanno la quadratura del cerchio che consentiva di realizzare un nuovo compromesso tra il tradizionale sistema di potere rosso e quello di una parte della destra missina trasferitasi in AN e poi nel PDL.
Poi Buzzi aveva un rapporto con Carminati, derivante dal loro incontro in carcere, e ciò consentiva di arrivare fino all’estrema destra. Ma di mafioso nel senso di organicamente armato e violento non c’era nulla, a parte il linguaggio e il folclore. Anzi, nel rapporto con Buzzi e con il mondo che egli esprimeva Alemanno si illude anche che ciò avrebbe comportato pure una copertura giudiziaria, quella di cui il PCI-PDS-DS-PD ha sempre goduto a Roma. Come conseguenza, una serie di interessi economici si sono innestati in quelle sue reti. Certamente quella pax fu inaspettatamente sconvolta da Pignatone, che non apparteneva alla normale rete di magistrati romani. Egli però, per rendere mediaticamente travolgente la sua operazione, ci ha aggiunto il carico di un teorema, quello del carattere mafioso di quei legami corruttivi, rispetto al quale Carminati è servito benissimo aggiungendoci addirittura l’evocazione sia della banda della Magliana che dei NAR.
Invece si è trattato della ricostruzione di una mini Tangentopoli a livello romano con un filo che andava da un pezzo della destra alle cooperative rosse, al sistema Roma di una parte del PD, a pezzi del mondo economico romano unificati da fortissimi interessi economici, non dalla pistola. Il bello è che al PD sono saltati i nervi proprio quando aveva eletto un sindaco, ci riferiamo a Marino, che con quel sistema non aveva nulla a che fare, anzi che ad esso era estraneo. Sennonché allora Renzi non era arrivato al garantismo attuale, ma anzi sfidava i grillini sul loro stesso terreno, quello del populismo giustizialista: all’epoca le sue vittime sono state molto numerose, dalla De Girolamo, alla Cancellieri, a Maurizio Lupi, alla Federica Guidi, solo che in quei casi le conseguenze politiche sono state nulle, invece nel caso del comune di Roma sono state disastrose.
Quando per far dimettere un sindaco di sinistra notoriamente estraneo non solo al sistema romano, ma allo stesso sistema di potere del PD, le firme dei consiglieri comunali di sinistra si sono combinate assieme a quelle dei consiglieri di Alemanno è esplosa una sorta di reazione di rigetto per cui una assoluta incapace come la Raggi (ma allora nessuno la conosceva e quella fu la sua grande forza) fu eletta a furor di popolo e il PD pagò giustamente tutta la catena di errori che aveva commesso. Come si vede, l’interpretazione militare di quello che è accaduto a Roma crea minori problemi specie alla sinistra di quanto non sia avvenuto nella realtà, una realtà nella quale a essere determinante sono stati la sommatoria degli interessi economici della destra e della sinistra più che la forza armata dei mafiosi.
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