Dopo quei fatti, scoppiò la Grande Bonaccia di Cosa Nostra che era di colpo diventata muta e inerte. Mai più un morto ammazzato, una bomba, un attentato, se non per faccende minori. Conclusione? Lo Stato aveva fatto un patto col diavolo mafioso. A che prezzo? E qui cascano tutti gli asini: tutti i Totò Riina e compagnia sono morti in galera e Cosa Nostra sul piano internazionale non vale una cicca rispetto alla ‘ndrangheta calabrese, forte in tutti i continenti.

Quale grossa merda nasconde questa storia? Abbiamo una opinione già espressa tante volte e confermata anche dall’ex procuratore generale della Federazione russa Valentin Stepankov, secondo cui l’omicidio di Giovanni Falcone – e di conseguenza quello di Paolo Borsellino – non furono affatto due mostruosi capolavori autoctoni di Cosa Nostra, ma una multiproprietà nata dall’idea di Cossiga, appoggiata allora da Andreotti, di incaricare Falcone, privo dei poteri di procuratore in quanto direttore delle carceri a Roma, di aiutare i procuratori russi a bloccare il riciclaggio del tesoro del Pcus in Sicilia.

L’unica cosa che si sa di questa storia è che, benché siano ancora vivi sia Stepankov che l’ex ambasciatore russo Anatoly Adamishin che chiese aiuto a Cossiga e ad Andreotti, non risulta che alcuna procura italiana che si sia occupata della faccenda abbia aperto un fascicolo e avviato indagini. Non si sposano delle teorie a freddo e infatti non sposo alcuna teoria: sto a quello che mi dissero Cossiga e Andreotti e che ho scritto molte volte.

Il punto è: bisognava sostenere una tesi. Che l’assordante silenzio di Cosa Nostra, di fatto annichilita, fosse dovuto a una trattativa. E che se la trattativa ha avuto successo, come dimostra il crollo verticale dei grandi crimini e delle stragi, ciò significa che un prezzo è stato pagato, che qualcuno ha trattato, che l’onore della Repubblica è stato venduto e che dunque alcuni uomini che rappresentano lo Stato, sono colpevoli di intelligenza col nemico. Calogero Mannino è stato prescelto come una delle vittime sacrificali: è siciliano, era democristiano e inoltre è stato un vero nemico della mafia, tanto da diventare un bersaglio dei mafiosi.

Queste minacce, come è stato scritto nella sentenza, sono “pacifiche e pubbliche”, sicché avrebbero dovuto illuminare Calogero Mannino come una vittima della violenza mafiosa. Ma, ecco qui il magnifico gioco di prestigio dei “trattativisti”: se tu sei minacciato dalla mafia e chiedi allo Stato di proteggerti, vuol dire che hai fatto arrabbiare la mafia con uno sgarro. Se sei una vittima, sei un carnefice. Non puoi sfuggire al teorema. Ci serve qualcuno da accusare di aver trattato, tu dovevi morire ma non sei morto, dunque hai trattato. È infernale, ma è vero.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.