La scombiccherata procura della repubblica milanese, quella che da almeno un anno accerchia inutilmente Matteo Salvini e la Lega proprio come un giorno fece (e ancora fa) con Berlusconi, si accontenta per ora di agitare lo scalpo del presidente Attilio Fontana. E chiede che sia mandato a processo per frode in donazione. Proprio così. Un po’ come se qualcuno avesse promesso di regalare tre libri, o tre vestiti, e poi ne avesse donati solo due. In realtà l’articolo 356 del codice penale, “frode in pubbliche forniture” non parla di regali, ma di contratti pubblici violati da una parte. Per esempio quando si consegna una merce diversa da quella stabilita. Naturalmente all’interno di un contratto a titolo oneroso, cioè prodotti in cambio di denaro.

Ma nella vicenda per la quale la procura di Milano chiede al giudice di processare Attilio Fontana non c’è ombra di denaro, anzi, la Regione Lombardia ci ha guadagnato perché, in uno dei momenti più tragici della pandemia dell’anno scorso, ha ricevuto in omaggio cinquantamila camici. Una vera boccata d’ossigeno, nei giorni in cui qualunque presidio sanitario, mascherine comprese, era quanto mai introvabile. Passerà alla storia, o almeno alla cronaca, come lo “scandalo” dei camici. Anche se di scandaloso non c’è proprio niente. Per capire il contesto politico cui si inscrive la vicenda, basti ricordare l’assedio mediatico-giudiziario piombato addosso alla Regione Lombardia nel momento della sua maggiore difficoltà sociale e sanitaria. L’inchiesta mediatico-giudiziaria sul Pio Albergo Trivulzio con tutte le panzane del Fatto e di Repubblica ebbe titoloni ogni giorno, anche se poi si è sciolta come neve al sole sulla base soprattutto della perizia ordinata dalla procura.

Quanti si sono accorti del fatto che il Pio Albergo Trivulzio nel frattempo ha recuperato l’immagine di eccellenza come principale casa di riposo italiana ed europea? Quanti articoli di scuse ha scritto Gad Lerner che per primo, citando l’istituto come quello presieduto negli anni novanta da Mario Chiesa e da cui partì Tangentopoli, inventò inesistenti fatti delittuosi? Per non parlare di tutti i comitati e comitatini che sfruttando il dolore di chi aveva perso persone care a causa del covid, si erano inventati l’inesistente reato di “epidemia colposa”, seguiti da qualche procura come quella di Bergamo. Mentre in tutta Italia le indagini frettolosamente aperte stanno terminando con archiviazioni. E anche la principale, che sfiora il ministro Speranza, dovrà per forza finire in nulla.

Quello era il clima, mentre i partiti della sinistra e quello dei Cinque stelle con cinismo già assaporavano il boccone grosso della Regione Lombardia e insieme quello del capo del partito maggioritario al nord, e in quei giorni ancora in testa sul piano nazionale in tutti i sondaggi. Il presidente Fontana qualche errore, qualche pasticcio sicuramente l’ha fatto in quella circostanza. Quella in cui la Regione Lombardia, seguendo quanto disposto dal governo sul piano nazionale, aveva contattato una serie di aziende cui proporre in affidamento diretto l’incarico di fornire il numero più alto possibile di camici ospedalieri e altri presidi sanitari. Senza gara, perché nelle situazione di emergenza questo è possibile. Nessuno scandalo, dunque. Ma c’è un “ma”. Era inopportuno il fatto che una delle cinque aziende individuate dall’assessore competente, la Dama di Andrea Dini fosse di proprietà del cognato del presidente (e al 10 per cento della moglie)? Forse si, o forse no. Anche i parenti devono poter lavorare, purché non diventino soggetti privilegiati. E non si cada in un concreto conflitto di interessi.

Fatto sta che, nella confusione frenetica di quei giorni, a un certo punto lo stesso Fontana si rende conto che sta per scoppiare, sia pure ingiustamente, un bubbone mediatico. Le telecamere di Report annusano il sangue e cominciano a gironzolare, a chiedere, a citofonare (ah, la passione giornalistica per le interviste ai citofoni!). Così Andrea Dini fa sapere alla società Aria, quella che per la Regione Lombardia si occupa delle forniture, che offrirà i camici in donazione. Tutto finito dunque? E no, perché, dei 75.000 camici previsti dall’iniziale contratto poi saltato (a fronte di un incasso di 513.000 euro) ne verranno regalati “solo” 50.000. Un bel regalo per il mondo sanitario e per i cittadini lombardi, no? Invece no. Ah mondo ingrato! Nessuno ringrazia il donatore, Né la moglie né il cognato, che è poi il presidente della Regione. Il quale pensa poi, proprio perché è uno per bene, di dare personalmente, cioè togliendoli dalle proprie tasche, 250.000 euro a Dini, a titolo di parziale risarcimento per la sua azienda che, come tutte le altre in quel momento, non viveva un periodo particolarmente brillante e aveva perso una fonte di guadagno. Così si apre un altro filone di indagine, perché la cifra viene prelevata da un conto svizzero con fondi “scudati” ed ereditati dalla madre di Fontana e la cifra insospettisce e fa scattare le norme antiriciclaggio. Così nasce una seconda inchiesta, rallentata dalle necessarie rogatorie con la Svizzera.

Ma l’assalto a Fontana è da subito politico. Quanti anni sono che la sinistra, che pure conquista ripetutamente Milano (con uno zoccolo duro nel centro storico), non riesce a sfondare nella regione con le sue valli fortini leghisti ? Così arriva puntuale la mozione di sfiducia. Attilio Fontana si presenta con orgoglio e con la voce rotta: “Non posso tollerare che si dubiti della mia integrità e di quella della mia famiglia”, dice in un consiglio che è in gran parte con lui e gli tributa ben sette applausi a scena aperta. Ma i denti nel suo collo affondano violenti. Persino la procura della repubblica di Pavia se la prende con lui. E una mattina alle sette, nello sconcerto del suo legale Jacopo Pensa, uno di quelli che da Mani Pulite in avanti ne ha viste tante, si presentano quasi nella sua camera da letto gli uomini della guardia di finanza per sequestrargli il telefonino. L’indagine, nella quale lui non era indagato, riguardava un’azienda multinazionale, la Diasorin, cui l’Ospedale San Matteo di Pavia aveva assegnato lo svolgimento di alcuni test sierologici. Inutile dire che l’accordo sarà in seguito ritenuto legittimo. Ma intanto un po’ di scenografia e di intimidazione fanno sempre notizia. Questo accadeva un anno fa, nel settembre del 2020.

Così arriviamo all’oggi, in un quadro molto cambiato. La Regione Lombardia ha riacquistato il proprio smalto. Il procuratore aggiunto Romanelli ha forse accantonato la speranza di prendere il posto del pensionato Francesco Greco, che probabilmente sarà sostituito da un “papa straniero”, mentre un bel gruppo di magistrati milanesi è indagato, per vari motivi, dai colleghi della procura di Brescia. Un contesto nel quale la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di Fontana, di Dini e dei vertici di Aria (la centrale acquisti della Regione) stride non poco. Perché è documentato che la Lombardia con l’operazione camici non solo non ha rimesso denaro, ma ha anche avuto un regalo. Spontaneo? Indotto? Che importanza ha, ormai? C’è da domandarsi se ci sarà a Milano un giudice che avrà il coraggio di mandare qualcuno a processo per “frode in donazione”. È anche vero che qui si è visto di tutto, però…

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.