L’Italia è un Paese sempre più frantumato e disuguale: il 56% dei trasferimenti pubblici è andato alle imprese del Nord, quelle del Mezzogiorno e delle isole hanno ricevuto trasferimenti pari al 23%. Le famiglie campane che beneficiano del reddito di cittadinanza sfiorano quelle di tutte le regioni settentrionali messe insieme. La sperequazione riguarda anche le università non statali: uno studente del Nord può detrarre dalle tasse o dai contributi di iscrizione fino a 3mila e 700 euro, un giovane del Sud non va oltre i mille e 800. Il Riformista ha chiesto al professore Domenico Salvatore, coordinatore del corso di laurea in Economia aziendale dell’università Suor Orsola Benincasa di interpretare i dati che ancora una volta sottolineano le differenze tra Nord e Sud.
Professore, come spiega il persistere di un divario così marcato tra Nord e sud?
«Credo sia utile andare a riflettere su come si generano le decisioni che poi determinano questa distribuzione delle risorse pubbliche. Per motivi strutturali legati per motivi culturali nel modo di agire e collaborare, e perché le regioni del Nord sono più ricche e organizzate, gli amministratori e imprenditori settentrionali tendono a essere più forti e più bravi nel negoziare scelte che li avvantaggiano. Quelli del Sud tendono, invece, a essere sistematicamente meno forti e meno bravi. I dati che stiamo commentando sono il risultato di numerose decisioni in cui i rappresentanti del Nord riescono a fare approvare criteri di riparto che non li svantaggiano. Questo è esattamente il loro lavoro. Il vero problema sono quelle condizioni di partenza, istituzionali, culturali ed economiche che rendono i rappresentanti del Sud meno efficaci quando si tratta di negoziare le decisioni».
Quali effetti produce questa sperequazione tra i vantaggi e gli aiuti riservati al Nord rispetto a quelli per il Sud?
«Questa differenza su come vengono ripartite le risorse non contribuisce a ridurre il problema più grande, cioè il differenziale di ricchezza e di sviluppo tra Nord e Sud. Forse non è determinante, perché università e imprese possono e debbono offrire servizi di qualità indipendentemente da sgravi fiscali e contributi pubblici. Aiuti in più, però, non farebbero male. Inoltre, dal punto di vista simbolico, investire più risorse pubbliche nelle zone che già sono più ricche non crea certamente coesione».
Solamente in Campania ci sono 275.000 famiglie che beneficiano del reddito di cittadinanza, nell’intero Settentrione sono circa 281.000. Cosa rivelano questi numeri?
«Non si può che prenderne atto con tristezza. Il reddito di cittadinanza non è una misura pensata in modo da creare sviluppo e ricchezza. È una misura assistenziale che ha l’effetto, sicuramente positivo, di aiutare persone in situazioni oggettivamente di grande disagio. Legandomi alla risposta precedente, il fatto che gli amministratori, i politici e gli imprenditori del Nord non si siano opposti con efficacia a questa misura che li penalizza, deriva dalla diffusa convinzione che lo sviluppo del Meridione sia una causa persa. Tanto vale assistere in questo modo una popolazione “per fortuna” sempre meno numerosa, piuttosto che sprecare altre risorse in investimenti produttivi che in passato hanno prodotto risultati scarsi. È questa convinzione, secondo me, il nemico più grande per tutto il Paese».
Come si sfumano i contorni di un Paese sempre più disuguale?
«Non bisogna pensare che sia solo un problema legato alla quantità o alla percentuale delle risorse oppure aspettarsi risultati in tempi brevi. Bisogna, invece, agire su quegli aspetti che ci rendono sistematicamente meno bravi a ottenere criteri di riparto vantaggiosi, che sono anche le stesse ragioni per cui siamo amministrati peggio. Dobbiamo smettere di pensare al lavoro nella pubblica amministrazione come un modo per creare occupazione. È il buon funzionamento di quella pubblica amministrazione che crea vera occupazione di qualità. Dobbiamo quindi investire a migliorare competenze e motivazione di chi lavora nella pubblica amministrazione. Inoltre, dal punto di vista culturale, credo sia fondamentale apprendere e fare rete con portatori di interessi legittimi diversi dai nostri ma che in alcuni casi possono convergere. È quello che spesso fanno regioni del Nord nelle decisioni che passano per la Conferenza Stato-Regioni, per esempio. Le cronache politiche del Sud sono, invece, piene di conflitti istituzionali, di veti a prescindere, e di toni accesi. Investire nella qualità delle relazioni interistituzionali e nelle competenze dei decisori pubblici è la chiave per non sprecare le opportunità che si stanno per presentare con il Recovery Plan».
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