Roberto Benigni ha entusiasmato Sanremo e una parte della stampa nazionale, e della politica, svolgendo un monologo di grande intensità sulla Costituzione repubblicana, dal palco dell’Ariston. Un’altra parte della stampa, e del mondo politico, ha polemizzato invece con Sanremo e con Benigni, sostenendo, forse con qualche ragione – forse no – che quello è un festival di canzoni in gara tra loro e non è una sede politica. Non entro in questa discussione. Mi limito a riflettere su alcuni passaggi – e su alcuni non passaggi – del discorso di Benigni.

Quello che mi ha colpito di più, perché lo condivido profondamente, era racchiuso in questa frase brevissima e icastica: “La Costituzione è uno schiaffo al potere. A tutti i poteri”. Fantastica, vera. E Benigni ha sviluppato questo concetto spiegando (a proposito dell’articolo 21, quello sulla libertà di pensiero e di opinione) che quella affermazione di libertà era soprattutto una denuncia dei vent’anni che precedettero il varo della Costituzione, devastati dal regime fascista, il quale, a differenza della Costituzione, aveva come massimo dei suoi valori il potere e il conformismo. Il potere e il conformismo – io credo, e forse anche Benigni lo crede – sono due espressioni della stessa idea. E sono indissolubilmente legati.

Però non sono convinto che il bel monologo di Benigni fosse completo. E neppure che fosse attualissimo. La Costituzione – ha detto – non va solo letta, va rispettata e realizzata. Già, però Benigni ha voluto sorvolare su un articolo decisivo della nostra Costituzione che è in discussione proprio in questi giorni. Parlo dell‘articolo 27, che io credo sia importante proprio come l’articolo 21. Benigni ci ha spiegato come i padri Costituenti ritennero decisivo quell’articolo 21, perché rappresentava, e rappresenta, una vera e propria dichiarazione antifascista. I padri costituenti, divisi su molti aspetti della politica, erano uniti dall’antifascismo.

Anche perché – aggiungo io – molti tra di loro, e forse anche i più autorevoli, dal fascismo erano stati messi in prigione. Per molti anni.
Perciò vollero scrivere quell’articolo 27, riferito alle prigioni, che recita così: “La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Bene, è un articolo che da anni viene violato dalla stampa, dall’establishment ed è sottoposto a un violento attacco da parte della magistratura e dello Stato. Nei giorni scorsi Giorgia Meloni ha dichiarato che lo Stato è sotto un attacco da parte degli anarchici. Non è vero. E’ vero invece che la Costituzione è sotto attacco da parte dello Stato. Nessuno può sostenere in buonafede che la stampa e la magistratura rispettino il secondo comma di questo articolo 27 (l’imputato non è considerato colpevole…).

Nessuno, in buona fede, può sostenere che nelle carceri italiane sia rispettato il terzo comma che proibisce pene contrarie al senso di umanità. Più di settecento detenuti, tra i quali Alfredo Cospito, sono tenuti nel regime di carcere duro (anche i magistrati chiamano così il 41 bis) cioè violando il senso di umanità. Alcuni detenuti sono stati tenuti in isolamento anche per trent’anni. Soli in cella. Senza radio, senza Tv, senza giornali, senza poter scegliere i libri, senza poter cucinare, senza poter dividere l’ora d’aria con altri detenuti, senza permessi per uscire, senza possibilità di accarezzare la moglie o figli, almeno una volta al mese, coi colloqui centellinati e a distanza, con le telefonate rarissime… Spesso in celle piccole piccole e l’ora d’aria da soli, o in compagnia di un solo detenuto scelto dalla polizia, in un cortiletto minuscolo e con altissime mura di cemento armato. In violazione dei trattai internazionali e del cosiddetto codice Mandela che considera questi comportamenti degli Stati come equivalenti alla tortura.

Benigni su questo non ha detto niente. Non ha accennato al fatto che Alfredo Cospito sta morendo perché lo Stato gli nega i diritti costituzionali. E non mi pare che il Presidente della Repubblica abbia detto una sola parola per salvargli la vita. Benigni è un attore molto bravo e più coraggioso dei suoi colleghi. Ma non è abbastanza coraggioso da sfidare il senso comune. E forse non riesce a vedere che il caso Cospito mostra che non ci siamo affatto liberati, con la Costituzione, del conformismo e dei poteri. Forse neanche del fascismo. Noi restiamo vittime del potere del pensiero unificato, e alcuni nostri fratelli restano vittime della ferocia dello Stato, fino a morirne.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.