Giornata difficile per il centrodestra, quella di ieri. A colazione il caffè è andato di traverso ai leader della coalizione che si sono trovati su La Stampa una intervista inattesa con Silvio Berlusconi. A metà mattinata ci si sono messe anche le mancate coincidenze tra treni e aerei, causa del mancato aggancio di Giorgia Meloni alla conferenza stampa con Salvini a Milano. Alla vigilia, nel giorno del suo ottantacinquesimo compleanno, il fondatore di Forza Italia era stato raggiunto da una telefonata del direttore Massimo Giannini al quale avrebbe confidato: “Giorgia o Matteo premier, alla prossima legislatura? Ma non scherziamo”. E dunque: “Devo tornare io e rimettere insieme le cose”.

L’intervista è stata poi smentita: non si sarebbe trattato di una intervista puntuale ma una conversazione a ruota libera a margine degli auguri. Pazienza: carta canta. E le note non sono da intonare in coro: “Lunedì i medici mi daranno il via libera per tornare a Roma e mettermi a lavorare all’unità del centrodestra”, in un “contesto in cui di grandi leader non se ne vedono”. Ecco servita la coalizione. Giro di telefonate, tensione crescente. Il medico più attivo a Milano in questo periodo è Luca Bernardo. Deve far dimenticare l’imbarazzo di quella nota vocale circolata ovunque: “Aspetto un bonifico da 50 mila euro oppure annuncio il ritiro”. Mentre Bernardo legge l’intervista di Berlusconi è in macchina verso la conferenza stampa “con tutti i leader”. Tajani c’è, e c’è Salvini. Ma come fotografia della ricomposizione di una alleanza coesa e compatta, non ci siamo. Salgono sul palco due new entries della coalizione, Maurizio Lupi di Noi con l’Italia e Francesco Patamia del Partito Liberale Italiano.

Il primo sognava di essere il candidato sindaco e forse ora si rallegra in cuor suo di non essersi esposto. Il secondo, trentatré anni, il più giovane leader del centrodestra, ringrazia “Gabriele Albertini che pur di votare liberale dopo tanti anni, si farà trecento chilometri a andare e trecento a tornare, da Merano”. Bernardo chiude così la campagna elettorale e forse, potremmo azzardare, la sua vicenda politica: i sondaggi non gli concedono margine contro Beppe Sala – per la verità da ancor prima che iniziasse la corsa – e la giornataccia del centrodestra non lo premia. Quando arriva Giorgia Meloni, Salvini se n’è già andato. I fotografi sembrano i più delusi. Morisi se n’è andato da pochi giorni e gli effetti speciali sono già spariti. Dettaglierà poi: “Avevo cambiato due volte il treno, ho un’agenda piena di appuntamenti elettorali e non posso farli saltare tutti”. Meloni se la prende con Alitalia – di questi tempi è come sparare sulla Croce Rossa – e prosegue per Novara, dove conclude la campagna elettorale del candidato sindaco della Lega con parole che suonano più come auspicio che come constatazione: “‘Fratelli d’Italia è in competizione con la sinistra, non con gli alleati. Abbiamo sempre creduto nella compattezza della coalizione, abbiamo sempre pensato che uniti si vince”. E ripete: “Io e Salvini non ci siamo incrociati per colpa di treni e aerei. Ma se davvero stessimo litigando, avremmo mai scelto di fare un comizio insieme?”.

E così l’appuntamento viene spostato nella capitale, ma in periferia: oggi alle 10 nella borgata romana di Spinaceto (“Pensavo peggio”, ne disse Nanni Moretti in un celebre film) riecco tutti i leader insieme, con Enrico Michetti – poi nell’ordine Tajani, Salvini, Meloni, Montecchi – magari con un contributo audiovideo di Berlusconi a suggellare la ritrovata unità. Ieri le parole dell’inventore del centrodestra sono risuonate nel capoluogo campano: “A Napoli mi lega un amore antico, sempre rinnovato dall’affetto, dal calore, dalla simpatia che ho incontrato ogni volta che ho avuto la possibilità di tornarci. Per questo seguo le elezioni di Napoli con particolare interesse e attenzione e per questo vi rivolgo un appello dal profondo del cuore a non perdere l’occasione per realizzare quel cambiamento che Napoli e il Sud aspettano da troppo tempo”. La conclusione: “Napoli ha bisogno di serietà, di onestà e competenza, per questo abbiamo scelto di appoggiare la candidatura di Catello Maresca”. Rimasto a corto di liste, depennate dalla verifica delle firme, il magistrato ha pensato bene di diffondere sui social un video nel quale spiega come fare il voto disgiunto. “Vota qualsiasi lista, l’importante è che voti Maresca sindaco”. Non un gran messaggio per chi è in cerca di quella compattezza perduta. Che incarna a questo punto il candidato torinese Paolo Damilano, meno in difficoltà degli altri.

“C’e’ sicuramente un bisogno di centro. Io mi definisco un moderato-liberale”, ha detto Damilano chiudendo con il ministro Mariastella Gelmini la sua campagna – sostenuta soprattutto da Forza Italia ma con inserti anche dal mondo riformista (Torino Progresso). Paolo Damilano sfida Stefano Lo Russo per il centrosinistra e Valentina Sganga, per l’alleanza M5s-Verdi. Il segretario del Pd Enrico Letta ha rivolto agli avversari parole amare: “In tanti anni di vita politica non ho mai visto una scena del genere a qualche giorno dal voto: gli stracci che volano dentro la Lega, oggi Salvini e Meloni pur di non fare la foto insieme uno è andato via prima dell’altra… E’ evidente che non c’è un disegno comune, il centrodestra ha funzionato quando c’era un federatore, Silvio Berlusconi. E oggi che Fi è nella situazione in cui è, un centrodestra basato su Salvini e Meloni alla prova del nove non fa un passo avanti”.

Sullo sfondo rimane la questione Morisi, con particolari che attengono più alla pruderie che alla politica. Le voci che si rincorrono negli ambienti della Lega danno per certo un congresso a breve, una volta metabolizzati i risultati che non saranno, verosimilmente, premianti. I calendari, le agende, gli orologi pesano. Lo fa notare anche chi guarda alla cronologia degli eventi di lunedì scorso. Si sapeva che la Procura di Verona stava per lanciare una nota su Morisi, che infatti si era dimesso quattro giorni prima. Non a caso – sottolineano i più vicini a Salvini – l’ultima bruciante intervista di Giorgetti, quella in cui demoliva i candidati alle amministrative, era stata accordata perché uscisse quel fatidico lunedì. Il disegno di fare una Cdu italiana, un grande centrodestra moderato con la federazione di Forza Italia e Lega, prenderà le mosse dopo l’esito dei ballottaggi. Serve uno shock e non sembra lontano. Il motto del centrodestra potrebbe essere quello della fenice: post fata resurgo.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.