Chi spera, ad esempio una fetta di Pd, nella scissione della Lega resterà deluso. Chi lavora, non da oggi e comunque sempre nel Pd, per l’indebolimento del leader Matteo Salvini può essere più soddisfatto ma ancora non del tutto. Il segretario è sicuramente a un bivio. La strada imboccata a febbraio quando ha portato la Lega nella maggioranza Draghi è stata una scelta importante ma finora vissuta con troppo ambiguità ed è giunto il momento di fare la scelta definitiva: restare nell’orbita delle destre sovraniste oppure entrare a pieno titolo nel mondo di una moderna destra europea e liberal.

Il congresso del Partito popolare europeo in corso a Roma in questi giorni è in qualche modo una cartina di tornasole anche per Salvini e lo stato maggiore della Lega. Al congresso partecipa solo Forza Italia tra i partiti del centrodestra italiano, solo uno e anche il più “piccolo”: decisamente troppo poco per una coalizione che punta a governare l’Italia a partire dal 2023, in piena messa a terra e spesa – si spera – del Pnrr italiano. Se si ha chiaro in testa questo quadro, si capisce meglio perché i fatti dell’ultima settimana e delle ultime ore sono paradigmatici per capire cosa sta succedendo nella Lega al di là della scontata “crisi” e “dualismo” tra il partito di governo e quella di lotta. Su vaccini e green pass Salvini alla fine ha dovuto rimangiarsi quasi tutti gli ultimatum. Raccatta poco anche sul fronte immigrazione – tranne il fatto che Draghi ha voluto il dossier anche sulla propria scrivania – e punta tutto sul fisco, sul no all’aumento della tasse e alla revisione del catasto. Di ius soli e ddl Zan, cioè di diritti civili, non ne vuole neppure sentire parlare. Questo sarà il leit motiv del prossimo mese, quando saranno finiti i ballottaggi. Poi i risultati delle amministrative disegneranno un altro mondo.

L’addio della mediatica parlamentare europea Francesca Donato alla fine non sposta più di tanto questo quadro. «Tutto sommato ci ha fatto un favore», sibila un senatore della vecchia guardia sottolineando gli eccessi no vax dell’europarlamentare. «Non potevo continuare ad ignorare il malessere mio e di tante donne e uomini del partito davanti allo scempio delle scelte liberticide del governo Draghi», ha spiegato. Per lei è possibile un prossimo ingresso in Fdi («Meloni è coerente») oppure in Italexit di Paragone. Salvini ha minimizzato: «Chi va via lo ringrazio, lo saluto e tanti auguri», ha detto a Siena. Retroscena sull’addio di Donato parlano di una trattativa non andata a buon fine. A Strasburgo le era stato chiesto di aspettare il voto delle amministrative prima di fare il passo indietro, evitando di dare agli elettori l’immagine di un partito diviso. Ma lei ha scelto diversamente.

Dura la replica dei vertici leghisti in Ue: «Proseguiamo il nostro lavoro e non diamo fiato alle polemiche di chi, dopo aver messo in cattiva luce la Lega per giustificare il suo abbandono, getta discredito sui colleghi. Nel nostro gruppo non c’è spazio per chi agisce in questo modo», scrivono Marco Zanni, presidente del gruppo Id e Marco Campomenosi, capo delegazione Lega. L’addio di Donato segue di qualche mese quello del collega Vincenzo Sofo che ha sbattuto la porta dopo il voto di fiducia della Lega il 18 febbraio. Allora anche Gianluca Vinci votò contro il nuovo governo. Sia Sofo che Vinci hanno trovato posto in Fratelli d’Italia. Ora tutti guardano agli altri frondisti. Sono quelli andati in piazza del Popolo lo scorso 28 luglio con i no vax e i no pass: Bagnai, Borghi, Pillon e Ferrero. La senatrice, che ha organizzato al Senato il contestato seminario sulle cure domiciliari, “unica e vera soluzione al virus”, ha già fatto sapere che resterà in Lega e che “Salvini è l’unico segretario”. Bagnai ha snobbato il tutto: “Sono al lavoro sui temi fiscali”. Un po’ l’ultima trincea per Salvini. Mollare lì sarebbe per lui la fine. Ma questo è noto anche a Draghi che invece vuole la Lega in maggioranza.

Nella Lega la parola d’ordine, per tutti, è tenere il profilo basso senza cavalcare i malumori e le voci di un partito in guerra. «Noi siamo e restiamo in maggioranza», ha ribadito ieri Salvini nei vari comizi elettorali dove si è concentrato su Quota 100, sul reddito di cittadinanza, sul rincaro bollette e sulla revisione del fisco. Sono i temi cari da sempre alla Lega. Anche a quella governista di Giorgetti e dei vari presidenti di regione che invece su vaccini e green pass sono stati categorici nel seguire la linea Draghi. Si attende il voto delle amministrative. Allora, ma solo allora, ci potrebbe essere una resa dei conti. Qualcuno, alla Camera, descrive un clima simile a quello del 10 aprile 2012. A Bergamo, quella sera, andò in scena “la notte delle scope” per fare piazza pulita degli scandali che avevano travolto la famiglia e la gestione Bossi. Il capo era Roberto Maroni. Che poi passò lo scettro al giovane Matteo Salvini. Neppure dieci anni fa.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.