Il caso
Calabria commissariata e il ghigno mediatico che produce i ‘Cotticelli’
Se potessi parlare con il generale Cotticelli vorrei esprimergli tutta la mia umana comprensione. Lo potrei fare perché credo di essere stato l’unico, in Calabria e fuori, ad aver pubblicamente denunciato, già nel gennaio 2019, l’oggettivo “scandalo” costituito dalla nomina d’un ex generale di corpo d’armata a commissario straordinario alla sanità calabrese. I primi segnali di Cotticelli all’atto dell’insediamento confermavano e moltiplicavano tutti i miei dubbi. Oggi, sono certo che il blocco politico-istituzionale (e mediatico) che aggredisce il generale per la brutta figura rimediata durante la trasmissione “Titolo V”, rappresenti il cancro che mangia se stesso. Hanno ridotto la grave questione sanitaria calabrese in un problema di apparente lotta alla ‘ndrangheta e ciò ha portato a pesanti ricadute sulla salute dei calabresi e sulla fragile economia regionale. Anche un bambino avrebbe capito che un generale di corpo d’armata non sarebbe stato la figura adatta a riformare un sistema sanitario che negli anni è stato trasformato in verdi pascoli su cui brucano politici di rango, alti burocrati, cliniche private, “baroni” della sanità, imprenditori e mafiosi. Locali e nazionali.
E sembra apparentemente inspiegabile il fatto che le grandi operazioni di polizia che da circa 30 anni si abbattono sistematicamente sulla Calabria abbiano risparmiato il torbido mondo e i grandi privilegi che girano intorno alla sanità calabrese. Neanche dopo l’atroce esecuzione del dottor Fortugno, vice presidente del Consiglio regionale, ragionevolmente riconducibile al mondo della sanità, la soglia che separa i diritti degli ammalati dai grandi interessi e privilegi è stata oltrepassata. Sembra quasi che i grandi inquisitori abbiano preferito conquistare le luci della ribalta operando su un terreno diverso da quello in cui sono attendati gli oligarchi che dominano sulla Regione.
Cotticelli è stato mandato in Calabria a difendere i confini d’una legalità malata. Una legalità impegnata e ingessata sulla difesa d’un ordine che confligge con i diritti costituzionali dei calabresi. E lui già comandante di tutte le unità mobili speciali, dei Ros e con una medaglia d’oro conferitegli per meriti speciali nel campo della sanità (?) si è arroccato in una specie di fortezza dei tartari immaginando di essere circondato da un popolo di ‘ndranghetisti, cannibali e malviventi che, prima o poi, avrebbe tentato l’assalto alla cittadella della legalità. E in questa logica non bisogna sorprendersi se ha considerato il piano anticovid un impaccio burocratico di poca importanza. Un generale che è stato a un passo dal diventare comandante generale dell’Arma, avrà trovato mortificante doversi occupare di posti letto in terapia intensiva o d’un piano per la medicina territoriale. Altri i motivi per cui Cotticelli era stato scelto e mandato sul “fronte” della lotta alla ‘ndrangheta.
Più grave ci sembra il fatto che né il ministero della Salute e ancor meno la Regione Calabria si siano accorti di questa sua grave inadempienza (e oggettiva incompetenza). Oggi la Calabria è in zona rossa e paga un prezzo enorme così tanto da spingere i responsabili del disastro a chiedere il “sacrificio” di Cotticelli e la sua esposizione sulla pubblica gogna. Il ghigno crudele con cui il generale viene aggredito sulla stampa (soprattutto calabrese) e in televisione è inversamente proporzionale alla supina e storica complicità e accondiscendenza verso un sistema di potere che non può non produrre “Cotticelli” seriali. De André cantava che non esistono poteri buoni. Sicuramente non ci potranno essere commissari buoni che vengono in Calabria a decidere i destini d’un popolo sottomesso e rassegnato.
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