Le amministrative e il patto tra Pd e Cinque Stelle
Calenda è un problema per Letta, ma come lo dice a Conte?
Mentre sulle scrivanie dei leader politici arrivano gli ultimi sondaggi per le amministrative, su quella del segretario del Pd Enrico Letta prende forma un altro problema. L’ennesimo, si potrebbe dire: ma se Carlo Calenda, con una sola lista, la sua, prenderà intorno al 15 per cento dei voti – che è la media intorno alla quale lo attestano gli ultimi sondaggi – come faccio a spiegare a Giuseppe che dobbiamo sederci al tavolo anche con lui e con Matteo Renzi?
Un problema che diventa ancora più evidente dopo l’ennesimo incidente di giornata: in un comizio di Giuseppe, cioè Conte, a Montevarchi, un tizio del pubblico ha urlato augurando la morte al leader di Italia viva. È successo mercoledì sera e la dissociazione da parte del leader dei 5 Stelle è arrivata soltanto ieri in serata. Un ritardo ingiustificabile con tutti. Figuriamoci rispetto a un leader, Renzi, che fa parte della larga coalizione che sostiene Letta nel collegio di Siena. Ma torniamo ai sondaggi che dovranno essere silenziati a partire dalla mezzanotte di sabato. E ai rovelli del giovane Letta. Tutto sommato al Pd potrebbe andare assai meglio del previsto: Milano, Bologna e Napoli sono in pratica già vinte, primo o secondo turno, il distacco con i candidati di centrodestra sembra incolmabile. Così come lo è in Calabria (Occhiuto, Fi, è sopra di venti lunghezze) e a Trieste. Brucia Napoli dove il magistrato Catello Maresca e il centrodestra hanno perso 5 liste (bocciate). E anche Torino fa venire mal di pancia perché l’imprenditore Damilano, dato per sicuro successore di Chiara Appendino da almeno un paio d’anni, è in vantaggio ma di poco sul riformista del Pd Stefano Lo Russo.
Insomma, restando alle sei grandi città e alla regione, il centrosinistra governa oggi “solo” a Milano e Bologna, il centrodestra in due (Triste e Calabria), Napoli è stata un esperimento di sinistra, i 5 Stelle guidano Roma e Torino. Il quadro finale, dopo il 18 ottobre, rischia di essere un cappotto a favore del Pd e del centrosinistra, 5 Stelle compresi. E una sconfitta per il centrodestra che in testa a tutti i sondaggi nazionali come coalizione, rischia di prendere una sola città in più, Torino o Roma. Si è detto che Salvini e Meloni in realtà non hanno voluto vincere e hanno messo in campo dei signor nessuno che non stanno scaldando i cuori del loro elettorato. Ma quello che qui conta ora è capire come Letta esce fuori da una situazione che gli errori degli avversari gli stanno offrendo su un piatto d’argento e che invece potrebbe portarlo ad uno stallo. O ad un regolamento di conti interno.
Tutto dipende da ciò che succederà a Roma. I quattro principali candidati sono stimati troppo vicini per fare previsioni. Il centrodestra con Enrico Michetti otterrebbe tra il 25 e il 29%, il centrosinistra guidato da Roberto Gualtieri sarebbe tra il 23 e il 27%. Segue il sindaco uscente Virginia Raggi del Movimento 5 Stelle tra il 21 e il 25%. Infine l’ex ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda, una sola lista (gli altri ne hanno cinque, anche sette) e il gradimento tra il 19 e il 23%. Due settimane di campagna elettorale e il 40% di indecisi sono variabili che consentono previsioni accettabili. Al Nazareno cresce così la preoccupazione per Carlo Calenda.
Nei report che il segretario Letta puntualmente riceve dai dirigenti romani, il punto non è tanto sulla possibilità che il leader di Azione possa realmente raggiungere il ballottaggio. La mossa di indicare Bertolaso come “commissario ai rifiuti” è un tentativo di indebolire Michetti (Berlusconi voleva Bertolaso a Roma) e anche una strizzata d’occhio all’elettorato moderato e liberal di centrodestra deluso dal tribuno della radio che però lascia le piazze dei comizi mezze vuote e deve chiamare in soccorso Giorgia Meloni. Quello che preoccupa è cosa succederà se Gualtieri dovesse andare al ballottaggio con Michetti. Dove andranno a quel punto gli elettori della Raggi che odiano il Pd (sentimento reciproco) ma poi giocano a fare gli alleati a livello nazionale? E’ quasi certo, invece, che gli elettori di Calenda andranno su Gualtieri, un travaso di voti indispensabile per affrontare il secondo turno ma anche un’ipoteca che Calenda accende sul suo futuro di leader e sul suo bacino di voti.
«Lo stato maggiore del Pd – spiega una fonte delle segreteria dem – è convinto che un buon risultato di Azione catapulterebbe il suo front man immediatamente sulla scena nazionale, come ospite scomodo al tavolo delle alleanze del centrosinistra». Tutto dipenderà, come sappiamo, dalla legge elettorale. Perché invece Calenda potrebbe, scommettendo su una legge elettorale di tipo proporzionale, tentare la strada della costruzione di un nuovo soggetto partitico al centro a cui potrebbero guardare in molti anche dal centrodestra. Dando così molto fastidio ai programmi di Letta e Conte convinti di poter essere attrattivi anche per chi sta al centro e crede ancora nella natura riformista del Pd.
I bene informati, nonostante le affermazioni del segretario circa il Pd “traino e perno dell’alleanza”, raccontano che Letta e Conte hanno ormai stretto un’intesa che reggerà anche di fronte agli scarsissimi risultati che il M5S raccoglierà alle amministrative (tra il 3 e il 5%). Lo schema di gioco deciso dai due prevede poi l’allargamento dell’alleanza a Bersani, Speranza e Fratoianni, con l’obiettivo – già successo a Bologna – di epurare le liste da tutti i residuati di renzismo negando la possibilità di far sedere al tavolo Renzi, Italia Viva, Calenda ed ogni sorta di moderati, vagamente riformisti. Il fatto è che una buona performance del leader di Azione può far saltare il patto. Anche perché il centro dovrebbe essere il territorio di Conte. Come spiegare allora agli elettori del centrosinistra un’esclusione, quella di Calenda, così foriera di consensi?
© Riproduzione riservata