Un dramma sfiorato in una cella della casa circondariale di Poggioreale e un’indagine della Procura che scatena un nuovo temporale giudiziario sulla polizia penitenziaria. Il tema carcere torna sotto i riflettori a Napoli. Si parte da Poggioreale, reparto Salerno. Il dramma è sfiorato questa volta, sventato in extremis da alcuni agenti della polizia penitenziaria. Un detenuto arrivato dalla Calabria ha rischiato di morire nell’incendio che aveva appiccato nella camera di pernottamento. Lo hanno salvato gli agenti attirati dal fumo e dall’odore acre che le fiamme avevano sprigionato. Questione di attimi e si sarebbe contato in carcere un nuovo morto, un atto di autolesionismo in più da aggiungere alla triste lista dei gesti estremi commessi in cella, nel mondo di chi vive dietro le sbarre.
Un mondo, purtroppo, ancora troppo lontano da quello fuori che lo circonda. Al punto che anche gli agenti della polizia penitenziaria arrivano a invocare attenzione e aiuti. Il vice segretario regionale dell’Osapp Campania, Luigi Castaldo, ha commentato l’episodio sottolineando la “pericolosità del lavoro svolto dai poliziotti penitenziari” e la “complessità del carcere di Poggioreale che conta oltre 2200 detenuti a fronte di una capienza massima di 1600”. E giù con le criticità di sempre, dalle questioni strutturali (“Ci sono vari reparti inagibili, in attesa di ristrutturazione, e questo – sottolinea Castaldo – non fa altro che creare ulteriori disagi”) alle mai risolte carenze di personale (mancano più di 200 unità non solo tra gli addetti alla sicurezza e al controllo ma anche e soprattutto tra gli educatori, gli psicologi e altre professionalità essenziali per garantire un carcere più civile ed umano). E proprio il nodo “personale” è finito al centro di un’inchiesta della Procura su una presunta corruzione che conta 14 indagati per episodi avvenuti tra gennaio e giugno scorsi. Due agenti della polizia penitenziaria (uno dei quali già in stato di custodia cautelare in carcere da luglio scorso per accuse analoghe) sono sospettati di essere stati il perno del meccanismo con cui si promettevano e assicurano (dietro compenso, anche 8mila euro) aiuti per superare le prove psico-attitudinali per entrare a far parte di corpi delle forze armate, tra esercito, carabinieri e aeronautica militare, nonché nella polizia penitenziaria.
I provvedimenti cautelari riguardano anche pubblici ufficiali, tra cui un assistente capo della polizia penitenziaria in servizio al carcere di Santa Maria Capua Vetere, un vigile urbano del Comune di Caivano, un caporal maggiore dell’esercito in servizio presso la caserma Maddaloni, tutti sospettati di aver fatto da intermediari tra gli aspiranti militari e i colleghi ritenuti in grado di oleare i meccanismi delle prove ai concorsi. Tra gli indagati ci sono anche due agenti della penitenziaria che avevano un ruolo nelle sigle sindacali della categoria e tra le ipotesi su cui si dovrà lavorare c’è anche quella di un presunto scambio proposto a una collega: la possibilità di conseguire un’aspettativa sindacale non retribuita in cambio di 60/70 tessere sindacali o il loro equivalente in euro, cioè tra 5 e 6mila euro. Il quadro accusatorio per gli inquirenti è di «estrema gravità» ma ovviamente si è in una fase in cui si è in attesa di conferme a tutte le ricostruzioni accusatorie, l’inchiesta è ancora in corso.
Ora la parola passa alla difesa. Intanto dalle carte spuntano anche nomi anche di persone non indagate ed episodi o stralci di conversazioni intercettate che spingono a sbattere il mostro in prima pagina. Bisogna attendere che l’inchiesta faccia il suo corso, che le ricostruzioni investigative superino il vaglio dei giudici nel contraddittorio con le tesi difensive. Resta una considerazione finale da fare: lavorare nel corpo delle forze armate richiede attitudini che non possono essere un dettaglio irrilevante o da considerare merce di scambio. La cronaca ce lo ha ricordato, i drammi che si consumano nel mondo del carcere lo dimostrano.
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