Le cose stanno più o meno così. C’è un libro, intitolato Il Sistema, in cui l’ex pm Luca Palamara traccia un quadro impietoso della magistratura italiana e getta più di un’ombra anche sulle toghe napoletane. Logica vorrebbe che non solo qualche addetto ai lavori, ma anche cittadini comuni e associazioni si mobilitassero per chiedere a chi di dovere di fare chiarezza. Non fosse altro perché la magistratura è uno dei poteri dello Stato e perché pm e giudici “maneggiano” quotidianamente la libertà, il patrimonio, la carriera (la vita, per farla breve) di tutti. E invece niente. Al netto di qualche sparuta voce, a Napoli non c’è nessuno o quasi che batta i pugni sul tavolo per sollecitare nient’altro che un’operazione-verità su quanto raccontato da Palamara nel suo libro.

Eppure lo scenario che emerge da quelle pagine è a dir poco inquietante. Si parla di lottizzazione degli uffici giudiziari, assegnati in base ad accordi di carattere politico tra le varie correnti della magistratura. Si parla di uno spietato killeraggio ai danni di giudici “colpevoli” soltanto di ambire a cariche già destinate ad altri. Si parla di inchieste a orologeria e di linciaggi condotti con la collaborazione di alcuni organi di stampa. E c’è persino chi, al netto di quanto si legge nel libro, si dice convinto del fatto che tante altre vite e carriere siano state devastate dai giochi di potere all’interno della magistratura. È il caso del sostituto procuratore generale napoletano Raffaele Marino, a suo tempo accusato di collusione con la camorra proprio mentre sembrava in pole-position per il ruolo di procuratore aggiunto di Napoli. E c’è anche chi, come il giudice Eduardo Savarese, sollecita dal suo ufficio partenopeo l’istituzione di una commissione d’inchiesta che faccia chiarezza sulle pericolose dinamiche descritte da Palamara.

Al netto di due “eretici” come Marino e Savarese, intervenuti nei giorni scorsi su queste pagine, nessuno sembra interessato alle modalità con cui la giustizia viene amministrata a Napoli e dintorni. Pochi si sarebbero aspettati una presa di posizione da parte di altri magistrati o di organismi rappresentativi della categoria, ai quali la delicata fase in corso deve aver suggerito una particolare prudenza. In compenso, però, sarebbe stato comprensibile un invito alla trasparenza da parte dell’avvocatura partenopea, sempre in prima linea per la difesa dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione. Qualcuno ricorda il Libro bianco con il quale i penalisti napoletani, negli anni Novanta, misero sotto accusa le modalità con cui la Procura conduceva le indagini?

Oggi il problema è di portata ben più ampia, eppure nessuno invoca chiarezza o coglie l’occasione per sollecitare una radicale riforma della giustizia. Silenzio tombale pure da parte di associazioni e movimenti civici che, nei mesi scorsi, hanno fatto una “benefica irruzione” nel dibattito su Napoli e sul prossimo sindaco. Possibile che certe questioni non interessino a questi gruppi? Nemmeno a quelli che, al loro interno, vantano la presenza di alti magistrati? Nemmeno in una fase in cui è a repentaglio la credibilità di un’istituzione che a Napoli, martoriata dalla criminalità, dovrebbe essere ancora più solida? Sarebbe ora che, su questi temi, qualcuno facesse un passo avanti. Con coraggio, senza paura. Perché quella per la giustizia è e resta la madre di tutte le battaglie.

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.