Quando Giorgia Meloni lo chiamò per la prima volta non era per proporgli la poltrona da ministro, bensì quella di sindaco di Roma. Andrea Abodi non rispose subito ma questioni personali, e delicate, gli imponessero comunque di rinunciare. La neo premier aveva bussato una seconda volta alla sua porta questa estate, questa volta con la proposta per il ministero dello Sport. Abodi non poteva rifiutare.

Non è un mistero che fino a poche ore fa fosse in pole per guidare la Fondazione per le Olimpiadi di Milano-Cortina (e per quel ruolo era stato persino indicato da Fontana e Zaia, i governatori di Lombardia e Veneto).

Romano, 62 anni, laureato in Economia e Commercio alla Luiss, aveva iniziato la sua carriera da manager sportivo nel 1994, quando fu tra i fondatori di Media Partners, l’avventura avveniristica guidata Rodolfo Hecht che di fatto anticipava di anni temi oggi sulla bocca di tutti: format sportivi, tv e multimedialità, calcio e finanza. Insomma, una società che ha iniziato a portare il calcio nel mondo degli affari, quasi la base dell’attuale Superlega, e poi diventata Infront, che lo stesso Abodi ha guidato fino al 2002.

Esperienza che lo scorso gennaio sarebbe tornata utile anche alla Serie A. E infatti, quando saltò l’ipotesi Carlo Bonomi, molti club pensarono a lui come candidato alla presidenza della massima Lega del calcio italiano. Lotito, che non ha mai avuto una simpatia sconfinata per lui, riuscì a imporre il suo uomo, Lorenzo Casini. Più o meno come aveva fatto già nel 2017, quando difese Carlo Tavecchio guidandone la rielezione a presidente della Federcalcio: Abodi però raccolse oltre il 45% dei voti incarnando un sentimento che, pochi mesi dopo, avrebbe portato alle dimissioni dello stesso Tavecchio, conseguenza dell’esclusione dell’Italia dai Mondiali del 2018.

Abodi in quel momento rappresentava davvero il nuovo che avanza: la sua esperienza calcistica infatti era soprattutto alla guida della Serie B, che dal 2010 aveva portato a consolidare ricavi e a sviluppare un proprio marketing indipendente dalla Serie A, creando anche un fondo per la realizzazione degli impianti sportivi, grazie al Credito Sportivo. Che poi è passato a dirigere: lo aveva nominato, nel 2017, un decreto del presidente del Consiglio, che all’epoca era Paolo Gentiloni. Il punto politicamente più distante da Giorgia Meloni.

Redazione

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