Chi è Jean-Luc Mélenchon, il leader che per un pelo non ha soffiato a Marine Le Pen il ballottaggio e il cui peso, o almeno quello dei suoi elettori, deciderà la sorte della Francia e dell’Europa domenica 24 settembre? Sulla soglia dei 71 anni Mélenchon è prima di tutto un “ragazzo di Movimento”, un figlio non degenere del ‘68. Eletto per la prima volta senatore nel 1986 a 35 anni, allora il più giovane senatore della storia, la parabola di Mélenchon è stata dal 1976 al 2008 indistricabilmente intrecciata a quella del Partito socialista, nel quale ha sempre rappresentato l’ala sinistra: tra i primi a denunciare, sin dal 1993, il ruolo crescente del “capitalismo finanziario transnazionale”, ecologista e favorevole alla totale fuoriuscita dal nucleare, primo propositore, agli inizi degli anni ‘90, della legge sulle unioni civili che ha portato poi, alla fine di quel decennio, ai Pacs.

Cresciuto politicamene sotto l’ala di Mitterrand, a cui è sempre stato vicinissimo, è stato protagonista di tutti i numerosi scontri all’interno di quel partito che oggi non c’è più: vicino a Lionel Jospin, come lui un ex trotzkista, nel cui governo è stato dal 2000 al 2002 delegato all’insegnamento professionale nel ministero dell’Educazione, eterno rivale dell’ex presidente Francois Hollande e poi di Ségolène Royal. Oratore brillante e tempestoso, emotivo e secondo gli avversari iracondo, riservatissimo nella vita privata, abituato a circolare solo in autobus e metropolitana, il fondatore nel 2009 del Parti de Gauche, il partito della Sinistra e poi nel 2016, di France Insoumise è stato per tre volte consecutive candidato alla presidenza della Repubblica ma anche senatore, deputato, eurodeputato, consigliere nell’Essonne. Ma nonostante il cursus honorum che più istituzionale non si può è davvero rimasto sempre, nelle idee e nei comportamenti un ragazzo del ‘68, anche se ha sempre sostenuto di essere stato influenzato, nelle sue scelte politiche, più dall’agosto di quell’anno, l’invasione della Cecoslovacchia che lo ha sempre tenuto lontano dai partiti comunisti, che dal maggio, il mese della grande rivolta, quasi una rivoluzione, in Francia.

Forse anche perché la passione del maggio, l’allora diciassettenne Jean-Luc la ha vissuta lontano dal suo incandescente centro, Parigi, come giovane militante già attivo ma in un liceo di provincia, nel dipartimento dello Giura. In Francia era arrivato solo nel 1962 dopo essere nato e cresciuto a Tangeri, Marocco, da una famiglia di pieds-noir, i francesi d’Algeria, con tre nonni spagnoli e la quarta algerina di origini siciliane: un melting pot mediterraneo. Nella madre patria Mélenechon torna a 11 anni, dopo il divorzio dei genitori. Scopre la politica al liceo e se la porta dietro anche quando si trasferisce a Besancon, nel 1969, come studente di filosofia. La formazione politica del futuro leader di France Insoumise è quella tipica di un militante della sinistra rivoluzionaria di quegli anni: gli scontri e le divisioni all’interno dell’Unef, il sindacato studentesco che era stato tra i principali protagonisti del maggio poi l’adesione all’Oci, Organisation communiste internationaliste, gruppo trotzkista guidato da Pierre Boussel, ebreo russo che col nome di Pierre Lambert è stato uno dei principali esponenti trotzkisti sin da prima della guerra mondiale.

Esperienza superata da molti decenni eppure formativa: “Oggi Jean-Luc non è più trotzkista ma si dice Lambertista un giorno, lambertista per sempre. Ha conservato quel modo di procedere: se si convince che un’idea è buona non cambia più strada”, ricordava qualche tempo fa un amico di lunghissima data. Non che la vita di Mélenchon si esaurisse nelle estenuanti discussioni che costellavano la vita dei rivoluzionari degli anni ‘70. Si guadagna da vivere come correttore di bozze, operaio, benzinaio in una stazione di servizio, poi professore di liceo e giornalista. Si sposa e nel 1974 nasce la sua unica figlia, Maryline Camille. Della sua vita privata dopo il divorzio dalla moglie il leader della sinistra francese è estremamente geloso. Ha sempre smentito e negato ogni voce su sue presunte relazioni al punto da denunciare la Mondadori, editrice del periodico Closer, per aver pubblicato una sua foto in un momento privato con Sophia Chikirou, la consigliera per la comunicazione, già indicata da diversi giornali come sua compagna. Nell’agosto 2019 il giudice ha però dato ragione alla Mondadori e a pagare i danni è stato il denunciante.

Che l’uomo sia collerico, facile alle lavate di capo e alle reazioni forti pare assodato. Le risposte sprezzanti, a volte insultanti ai giornalisti sono all’ordine del giorno. Gli intimi garantiscono però che l’uomo è solo estremamente suscettibile, facile a sbotti d’ira che però sbolliscono rapidamente. Forse è davvero così, o almeno questo sembra testimoniare il noto filmato girato il 18 ottobre 2018, quando la polizia perquisì la sede di France Insoumise nel quadro di una doppia inchiesta sull’uso indebito dei fondi europei e di un presunto finanziamento illecito. Mélenchon si presentò con tanto di fascia tricolore, accompagnato da un gruppo di militanti del partito. Si scagliò contro gli agenti che non lo facevano entrare nella sede urlando “La République c’est moi”, ordinò ai suoi di abbattere la porta. Il video però mostra chiaramente che ai momenti più agitati si alternano quelli nei quali il leader rassicura gli agenti “Tranquilli, qui nessuno è violento”. Per quella rissa sfiorata, Mélenechon è stato condannato a 3 mesi di detenzione e 8mila ero di multa. Il fattaccio gli è anche costato la sospensione dalla massoneria nella quale era entrato, come suo padre e suo nono prima di lui nel 1983. Nel 2020 è stato poi lui stesso a chiudere i rapporti con la loggia Grande Oriente.

Oltre e più che nelle sezioni del movimento trotzikista, Mélenchon si è fatto le ossa, nei primi anni ‘70, nel vivo dei conflitti allora frequenti e a volte molto tesi nel Giura. E’ stata proprio l’esperienza interna alle lotte operaie ad allontanarlo dal leninismo e dunque dall’Oci, per aderire al Partito socialista di Mitterrand, che resterà per sempre il suo vero leader, amato anche nei momenti di dissenso. Mitterrand ricambiava: Mélenchon fu uno dei pochissimi che l’ex presidente accettava di incontrare anche nei mesi prima della morte, nel 1995. Tre giorni fa Mélenchon ha mancato per pochissimo il ballottaggio, che avrebbe conquistato senza il piccolo Partito comunista non si fosse presentato, a differenza dl 2017, da solo. In compenso ha restituito una fisionomia di sinistra a un partito di massa nel cuore dell’Europa e porta a casa una soddisfazione significativa. Gli elettori di Macron hanno in media oltre 60 anni, il grosso di quelli di Le Pen sta fra i 35 e i 50. Gli elettori al di sotto dei 35 anni invece hanno votato per l’attempato ragazzo del ‘68.