La battaglia sul taglio dei parlamentari
“Col referendum vogliono uccidere il parlamento”, Fausto Bertinotti si schiera per il No

Fausto Bertinotti fa professione di coerenza e, senza perdere lo stile, torna sulle barricate. Non solo quelle referendarie. È in gioco la democrazia, dice. E non vede l’ora di tornare in piazza, anche prima del referendum. Magari con i movimenti degli studenti che preannunciano battaglia sin dal primo giorno di scuola. «Il mio – spiega – sarà un No convinto. Perché questa controriforma punta a dare il colpo finale alla forma stessa dello Stato. Siamo davanti a una crisi prolungata della democrazia rappresentativa, anzi: della democrazia. Una crisi che dura da almeno un quarto di secolo».
E può riavviarsi adesso, nel post Covid, il corso della storia?
Forse proprio adesso. Bisogna poter contare sul contropiede. Perché siamo arrivati al punto finale. Esaurita la progressiva sottrazione di sovranità al Parlamento, siamo all’affermazione della “governamentalità” come primato assoluto dell’esecutivo.
Il taglio dei parlamentari è solo inutile o anche pericoloso?
Il taglio dei parlamentari è in realtà il taglio del Parlamento. Ed è un fatto che ha una carica simbolica, oltreché sostanziale, talmente forte… È il populismo che avvelena la politica. Io non cerco l’assassino: in questi ultimi 25 anni ce ne sono stati talmente tanti! Ma ho la sensazione che qualcosa stia cambiando, o possa cambiare.
Ottimismo della volontà?
Se avessimo fatto questa conversazione tre mesi fa, avremmo parlato diversamente. Sarebbe stata, la tesi del No, un fatto di testimonianza. Una nostalgia passatista. Convinti che si stava andando del tutto controvento.
E oggi no?
Non sono così ottimista da pensare che si sia invertita la tendenza, ma vedo che residuano, nelle culture democratiche, delle resistenze che normalmente non si vedono ma che oggi affiorano e animano la superficie della contesa. La superficie, perché nessuno sa cosa si anima nel fondo della società.
Siamo davanti a una crisi della democrazia, della politica, della sinistra o di tutte e tre le cose?
Esattamente così, tutte e tre le cose. A scalare. Ma rovescerei la triade: siamo davanti a una crisi della sinistra che ha dato vita alla crisi della politica, che determina la crisi della democrazia. Il soggetto vincente è il capitalismo finanziario, ecco qual è l’agente sulla scena. È il capitalismo finanziario che dagli Ottanta in poi ha messo in campo un nuovo protagonista della scena mondiale che è incompatibile con la democrazia. E adesso ci stiamo accorgendo che è incompatibile con la politica.
E allora perché varrebbe la pena di impegnarsi ancora, a partire dal No al referendum?
Perché penso che proprio in questo momento possono rimettersi in moto delle soggettività critiche. Di passo in passo, quelli che sembravano fuori campo, rientrano in campo.
Le contestano di non aver tenuto conto della posizione di Nilde Iotti…
Il Parlamento è passato da principe a servo. Nella cultura comunista e socialista c’era persino un po’ di retorica sul ruolo del Parlamento, era quasi una religione civile. Oggi il Parlamento c’è e non c’è. Se lo sospendessero per qualche tempo non se ne accorgerebbe nessuno. Il Paese si governa con i Dpcm ormai da mesi. È una tendenza in atto da anni, che negli ultimi mesi ha conosciuto un’accelerazione per quello che è stato chiamato “stato di eccezione”.
Non era necessario?
Lo stato di emergenza straordinario è stato spalmato, è diventato ordinario. E questo stato di emergenza che ormai è ordinario segna una forma di governo a-democratico.
Stiamo entrando nell’era della post-democrazia?
Siamo dentro. Tanto che si sperimentano le forme di governo di questa condizione post-democratica. L’elemento decisivo di questa condizione è l’inesistenza, sulla scena politica, di una alternativa di società. La democrazia è alimentata da una alternativa che oggi manca.
Oggi si dice: mai più tagli alla sanità. Più fondi per la scuola. Più attenzione all’ambiente. E mentre questa è la tendenza del dibattito pubblico, il centrodestra consolida il consenso e la sinistra non cresce. È un paradosso?
Intanto, tutte queste cose che vengono dette in risposta a una condizione, questa sì, eccezionale, prodotta dal virus, non sono interamente attendibili e credibili. Perché c’è il discredito del portatore della proposta. In politica la proposta non ha un peso se non associato all’autorevolezza e alla credibilità di chi la propone. Secondo elemento, tutto ciò che viene detto è rituale. «Investire sulla ricerca, sull’innovazione, sull’ambiente». «Non possiamo trovarci scoperti davanti al ritorno del virus». Tutti slogan detti senza progetto. Contro chi vengono dette queste cose? Quali sono gli interessi prepotenti che hanno determinato le mancanze di cui oggi ci si rende conto?
Si può fare proposta politica senza conflitto?
È l’antagonismo a dare la dimensione e la forza della proposta. Oggi si dice tutto e il contrario di tutto, con una inconsistenza che rende vuote le parole.
Manca una offerta politica a sinistra?
La corda da tirare è la crisi della sinistra. È il problema della ricostruzione del soggetto che opera quella precipitazione. La prova del nove sta nel meccanismo che agisce nella reazione che dall’economico arriva al sociale e al politico. Il capo della Confindustria, Bonomi, fa del rifiuto delle rivendicazioni sindacali le basi di una soggettività politica.
Bertinotti è stato un punto di riferimento a sinistra. Oggi chi è il suo punto di riferimento?
(Lunga pausa). Non ce l’ho. La domanda è legittimissima, la risposta è difficile. Anche perché io credo che la nuova soggettività critica va rintracciata non più nei cieli della politica, ma nei fondamenti sociali profondi della realtà del Paese. Occorre una rivolta.
Una rivolta culturale?
Può avere anche un valore solo simbolico, ma è incredibile il provincialismo che non vuole vedere quel che accade nel mondo. Se guardi a Sud, vedi le rivolte in Libano dopo quelle dell’Algeria. Se guardi a Est vedi la Bielorussia. A Ovest il Cile e le proteste negli Stati Uniti. Processi innescati dalle violenze della polizia cui fa seguito l’emersione di nuovi soggetti, tra i giovani e sempre più tra le donne. I movimenti di protesta si ribellano alle ingiustizie, mentre i partiti, soprattutto i nostri, sono tutti votati esclusivamente al governo. A stare al governo, a tornare al governo, a non cedere il governo. I partiti si connotano sulle alleanze: non dicono chi sono, dicono con chi vanno per costituire una maggioranza. Ed è drammatico, se l’unico paradigma è andare al governo.
Rivolta e conflitto, naturalmente civile e non violento.
Naturalmente.
Condanna l’episodio di aggressione a Salvini, a Pontassieve?
Certo, e lo ha capito anche chi ha compiuto il gesto. Aggredire è non giustificabile. Vale il “non toccate Caino”. E lo dico testualmente a Salvini, sorridendo. Non toccate Caino.
Riaprono le scuole e si parte con uno sciopero nazionale degli studenti. Non se ne sentiva parlare da anni.
Penso che parole come sciopero, studenti, operai, precari, sono elementi che costituiscono un terreno da esplorare. Penso che sia una cosa importante che venga decisa una mobilitazione, perché è la rottura della coltre di “naturalità” e oggettivizzazione che viene oggi posta su tutte le scelte politiche, su tutto quel che accade.
Bettini dice che per fortuna abbiamo Conte. Zingaretti lo ha definito “un campione di progressismo”.
In altri tempi lo si sarebbe definito un campione di trasformismo. Primo capo del governo dell’alleanza tra populisti e destre, pochi mesi dopo a capo di un governo soi-disant di centrosinistra. Mi sembra appunto che tutto quel che viene detto è inconsistente, e quasi senza senso se per senso si intende la Politica con la p maiuscola.
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