Tra algoritmo e spirito santo
Conclave, il rito millenario trasformato in reality show globale: alla logica dell’istantaneità la profezia di Sorrentino
Il conclave si ripete nei secoli immutato, ma nel mondo dei meme e dell’infodemia il suo mistero diventa quasi intollerabile. Perché la società mediatica ha bisogno di colmare ciò che non comprende?

Quando i cardinali entrano in conclave, si chiude una porta e si apre una parentesi di silenzio nel cuore rumoroso del mondo. Il rito dell’elezione papale, antico e immutato da secoli, è uno dei pochi eventi rimasti che resiste alla logica dell’istantaneità. Ed è proprio questo suo carattere sospeso, sacrale, avvolto nel mistero, a rendere il conclave tanto affascinante quanto destabilizzante per la società mediatica contemporanea.
Conclave, il reality show globale
Nel nostro tempo, tutto ciò che è opaco o lento viene percepito come sospetto. Il mistero, che un tempo evocava rispetto o sacralità, oggi genera ansia dettata dalla rapidità dei mezzi comunicativi. La cultura digitale ha bisogno di “riempire” ogni vuoto: se non ci sono immagini, si immaginano; se non ci sono notizie, si inventano. È così che nasce una sovraesposizione paradossale: un evento che si svolge in totale clausura viene raccontato da fuori come se fosse un reality show globale.
La memificazione è la prima reazione: il conclave diventa virale, trasformato in battute, parodie, countdown social. Segue la “quirinalizzazione”: analisi, interviste ai papabili e ai capi delle fazioni, retroscena e giochi di potere vaticano che assomigliano a quelli dell’elezione del Capo dello Stato italiano. Infine, si arriva all’infodemia, generata anche dai new media, una sovrabbondanza di informazioni – vere, presunte, fantasiose – che produce solo rumore.
Lo scontro frontale tra due logiche opposte
Tutto questo avviene perché il conclave, nella sua essenza, è l’antitesi del nostro tempo. Si svolge a porte chiuse, in un luogo sacro, senza connessioni, senza microfoni, senza conferenze stampa. I conclavi avvengono ogni decennio quasi, se non più raramente, e portano con sé un tempo lungo, quasi fuori dalla storia. E proprio per questo, ogni conclave rappresenta uno scontro frontale tra la logica millenaria della Chiesa e quella accelerata della modernità sempre più digitale e connessa.
Ma dentro quelle mura, qualcosa resiste. Nessun algoritmo guida la scelta. Nessuna app può sostituire il discernimento dei cardinali. La liturgia, le votazioni, il silenzio, la preghiera: tutto continua come da secoli, forse dai tempi di Pietro. È un gesto di disobbedienza culturale, una forma di testimonianza: non tutto può essere tradotto in contenuto, non tutto deve essere svelato.
Papa pop o come Pio XIII di Sorrentino?
E allora, il problema forse non è del conclave, ma nostro. È la nostra difficoltà ad accettare che qualcosa possa ancora sfuggire al nostro controllo narrativo, che esista una dimensione che non è “per tutti” ma è semplicemente “per Dio”. Un mistero non da spiegare, ma da rispettare, anche da laici.
Ma la domanda finale che resta aperta – ed è provocatoria- è: il nuovo Papa sarà scelto anche in funzione di queste pressioni invisibili, orientando verso una figura più pop, più compatibile con la società dell’apparenza?
O si concretizzerà la profezia di Sorrentino in The Young Pope, e il conclave produrrà un Papa alla Pio XIII, la radicale nemesi dei tempi moderni? Un pontefice che rifugge la spettacolarizzazione, che fa del silenzio e del rigore una nuova forma di testimonianza, convinto che la crisi di fede si combatta con l’austerità e la distanza, proprio per nutrire il mistero della fede – e dunque la fede stessa per risollevare le sorti della Chiesa e del suo seguito di fedeli? Lo scopriremo molto presto, o forse no, chissà.
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