Le novità delle elezioni tedesche sono state ampiamente analizzate sulla stampa italiana e internazionale. Ed in effetti ci sono tante “prime volte” in quello che è successo nelle urne il 26 settembre scorso. È la prima volta che un Premier uscente (e che Premier!) non si ricandida a fine legislatura; è la prima volta che i due grandi partiti Cdu/Csu e Spd (i due “big tent parties”) non raggiungono, sommati insieme, il 50 % dei consensi nel voto di lista; è la prima volta che l’alleanza Cristiano-democratica e cristiano-sociale si colloca al di sotto del 30 per cento; è la prima volta che, sulla carta, si presentano così tante alternative per la formazione del governo: Coalizione semaforo (Spd, liberali e Verdi), Giamaica (Cdu/Csu, liberali e Verdi), Kenya (Cdu/Csu, Spd e Verdi), Grande Coalizione (Cdu e Csu), coalizione giallo-rosso-nera (Cdu/Csu, Spd e Liberali).

“Benvenuti tra noi” qualcuno potrebbe dire dalle nostre parti. Mal comune, mezzo gaudio. O, rovesciando il discorso, potrebbe esser tentato di sdrammatizzare l’eterno dibattito italiano sulla legge elettorale, perché, in fondo, ormai tutto il mondo è paese e l’anelito insopprimibile al proporzionale, con i conseguenti governi di coalizione pluripartitica, in fondo non rispecchia quell’anomalia di cui tanti da noi si lamentano proponendo modelli “inadeguati” (si fa per dire) alla specificità italiana. Ovviamente il discorso è molto più complesso. Non solo perché non è affatto chiaro che cosa gli eventi politici tedeschi determineranno nel breve e nel medio periodo. E se il modello tedesco, così come descritto da Giovanni Sartori, nella sua Ingegneria costituzionale comparata, sia del tutto tramontato, come alternativa percorribile, rispetto a quello inglese o francese, per assicurare governi stabili e ben funzionanti. Certo, come ricordava Angelo Bolaffi ieri su questo giornale i fattori di instabilità sono destinati anche in Germania ad accentuarsi.

Il discorso è complesso, e la comparazione con l’Italia sarebbe francamente azzardata. Anche perché la differenza, nel funzionamento dei sistemi politici, la fanno non solo le regole scritte (a cominciare dalla legge elettorale o dalle norme costituzionali sulla formazione dei governi) ma soprattutto la tradizione, la cultura istituzionale, le convenzioni.
In Germania esiste un concetto chiamato Koalitionstreue (lealtà di coalizione), di cui il Koalitionsvertrag (il contratto di coalizione) è il suggello politico. La prima è totalmente estranea alle abitudini dei partiti italiani. Il secondo è stato malamente scimmiottato, con gli esiti che conosciamo. La fedeltà di coalizione ha fatto sì che, nella storia tedesca, dopo i primi anni di assestamento del sistema, le crisi di governo durante la legislatura siano state praticamente assenti (nessuna dal 1983 ad oggi). Il che vuol dire che, per quanto possa essere stato complesso, talvolta, il processo di formazione dei governi (e di sottoscrizione del contratto di coalizione) e per quanto si sia sempre trattato di governi di coalizione (bipartitica), una volta dato il via alla legislatura, da quelle parti non si è mai assistito alle guerre intestine e paralizzanti che conosciamo in Italia, con minacce (messa in atto) di crisi di governo a ripetizione.

Con questo passato alle spalle, e per quanto delicata possa essere la prospettiva di coalizioni con tre partner (la possibile novità post-elettorale di oggi), difficilmente la Germania precipiterà in quel caos di instabilità permanente che caratterizza, da sempre, la politica italiana. Del resto in numeri parlano chiaro. In Germania, dal dopoguerra ad oggi ci sono stati 25 governi e 9 Cancellieri, la cui permanenza in carica (sommando i vari gabinetti presieduti) è stata mediamente di 8 anni. Tre di questi Premier, però, hanno governato complessivamente per ben 46 anni su 76 (16 anni Merkel e Kohl, 14 Adenauer). In Italia, dal 1945 ad oggi, ci sono stati 68 governi e i Presidenti del Consiglio sono stati 30 con una media di durata (sempre sommando i vari gabinetti presieduti) di 2 anni e mezzo. I tre più longevi (Berlusconi, Andreotti e De Gasperi) sono stati complessivamente in carica 22 anni su 76. Per non parlare (a proposito di lealtà politica) del transfughismo e dei cambi di casacca, che in Germania sono praticamente inesistenti. La conclusione la può trarre facilmente il lettore. Stiamo parlando di sistemi politico-istituzionali che stanno a distanza siderale tra loro, malgrado le novità del risultato elettorale di oggi.

Conosco l’obiezione: in Germania c’è la sfiducia costruttiva. Ma basta conoscere un minimo della storia istituzionale di quel Paese per rendersi conto che la funzione deterrente di quello strumento è solo una piccola componente della stabilità tedesca. Tant’è che, anche in Germania, in rarissimi casi particolarmente critici, essa è stata aggirata ricorrendo alle crisi extraparlamentari. Che in Italia, come sappiamo, sono la regola. Insomma, più che farsi tentare dall’alibi della somiglianza, forse noi italiani (a cominciare dalla politica) dovremmo riflettere, e magari porre rimedio, alla maledizione che, dal 1861 ad oggi, impedisce a qualsiasi governo di durare, non solo per l’intera legislatura, ma (mediamente) più di un anno e qualcosa. Questa non si chiama “anomalia”, si chiama masochismo.