Curare la reputazione di Vladimir Putin per l’Italia. Renderlo meno antipatico, più popolare. Questo, in sintesi, l’incarico ricevuto a Roma dall’agenzia Reti di Massimo Micucci. Un compito portato avanti fino a qualche anno fa e basato sul monitoraggio dei giornali e sulla preparazione di strategie di risposta agli eventuali attacchi. Un servizio che ha preso il via quando i rapporti tra Italia e Russia erano ben diversi da oggi e poi interrotto senza ripensamenti. Perché il cliente è di quelli spigolosi. «E qualcosa di più: un cliente che ha modalità di lavoro difficilmente compatibili, nell’ambito della comunicazione e delle media relations, con le nostre», ammette il titolare di Reti, azienda specializzata nel lobbying e public affairs che per anni ha curato l’immagine percepita sui media italiani – televisioni, radio, carta stampata – per conto della Presidenza della Repubblica russa.

La vicenda è risalente negli anni: nasce addirittura nel 2006 quando Ketchum, il gigante americano delle Pr, riceve nei suoi uffici di New York una notizia inattesa: una maxi consulenza da Mosca, voluta da Putin in persona. L’incarico iniziale era riferito ad attività di media intelligence per il Cremlino su America, Europa e Giappone. “Cosa pensano di noi, cosa dicono di noi, come far cambiare loro idea”, era stato il briefing iniziale. Il cliente era la Presidenza della Russia: Putin, prima. Medvedev poi. Infine ancora Putin, per lunghi anni. Per l’Europa devono individuare un partner operativo: incaricano GPlus, che aveva sede a Bruxelles, Parigi e Berlino. Ed è GPlus a mettere sotto contratto agenzie di media intelligence negli altri paesi-chiave in cui l’opinione pubblica doveva essere sensibilizzata: Uk, Spagna. E naturalmente l’Italia. Putin all’epoca puntava ad entrare nelle grazie dell’Europa tanto da lanciarsi perfino a ipotizzare un trattato associativo con la Ue. La priorità era rafforzare il ruolo russo nel G8 e ammorbidire l’opinione pubblica occidentale. GPlus per l’Italia scelse Reti, allora guidata da Massimo Micucci. La sede era all’ultimo piano di Palazzo Grazioli. Sopra agli appartamenti privati di Silvio Berlusconi, dove trovava posto anche il notorio lettone, omaggio di Putin al Cavaliere.

GPlus si avvaleva di consulenti importanti, in tutti i Paesi Ue. Per l’Italia, qualcuno aveva collaborato con il governo Prodi. Poi c’erano inglesi che avevano collaborato con Tony Blair. Dirigenti e funzionari formatisi in un’epoca in cui Putin non era affatto un nemico ma un interlocutore valido e strategico. E benché Mosca controllasse tutto direttamente, con l’Italia si parlava tramite accorte misure di filtro. «Noi per la verità non abbiamo mai visto un russo. Questa cosa si faceva tramite intermediari». Come funzionava? «Entro le 8 del mattino, ora italiana, dovevamo mandare a Londra una rassegna stampa sintetica. Quella che in gergo tecnico si chiama clipping. Sulla base di questa, la cabina di regia decideva il da farsi. L’obiettivo era chiaro: monitorare la stampa, capire chi scriveva cosa e perché, con l’intento, nei desiderata del Cremlino, di mutare l’atteggiamento complessivo verso Putin. «Il sentiment doveva passare da negativo a neutrale. Perché poi gradualmente, in una fase semmai successiva, si sarebbe dovuto agire per portarlo da neutrale a positivo», ci dice una delle quattro risorse dedicate al progetto.

«Era un lavoro impegnativo. Sette giorni su sette, organizzato per turni. Doveva sempre esserci una reperibilità, perché poteva arrivarci in ogni momento l’input di stabilire un contatto, di valorizzare una notizia», racconta chi era nel team. Un lavoro inizialmente focalizzato sul presidente russo, per poi estendere il proprio raggio d’azione: «A un certo punto ci hanno chiesto di monitorare non solo quello che si diceva di Putin, ma tutto ciò che si diceva di Gazprom e del gas russo», racconta Micucci. Uno spostamento interessante: Gazprom diventa parte dell’apparato comunicativo di Putin. Perché autentica cassaforte del Tesoro di Mosca? Non solo. Non tutti sanno che Gazprom, che a Roma ha sede in via Benaglia 13, traversa di viale Trastevere, è diventata formalmente proprietaria di V-Kontakte, il potentissimo social network che in Russia hanno praticamente tutti. V-Kontakte riunisce in sé la funzione di Facebook e di Whatsapp: ha la bacheca per i post, le stories, permette di scaricare musica, video virali, di fare shopping online e di scambiare messaggistica in modo gratuito. Sui suoi server girano milioni di chat ogni giorno: è la modalità di condivisione delle notizie che il regime diffonde. Reti, GPlus e Ketchum non se ne sono mai serviti: interagivano con i social network attraverso le piattaforme mainstream, e puntavano ai giornali e alle televisioni. Il loro interlocutore a Mosca era Dimitrij Peskov, attuale portavoce di Putin.

«Ricevevamo gli input da Peskov anche se il responsabile dei rapporti tra Putin e l’informazione era in un primo tempo Alexey Gromov, uomo di fiducia di Putin che però non parlava quasi per niente inglese». Reti conferiva ogni giorno a GPlus una rassegna ragionata sull’Italia, dove gli articoli venivano indicati con priorità di intervento. «Qui si diceva di replicare, lì di soprassedere», ci spiega. «Si trattava di lavorare su singoli contenuti, su notizie che dovevano cambiare segno, essere tradotte positivamente per i lettori italiani». Ma i nodi vengono al pettine. «Una parte dell’élite del Cremlino voleva interloquire apertamente con tutti i giornalisti occidentali, un’altra era più rigida, legata a un metodo da guerra fredda. Ci sembrò che volessero una lista di amici e nemici. Cosa che non abbiamo mai fatto», prosegue Micucci. «Ed è nato un conflitto di fiducia. A un certo punto abbiamo interrotto il rapporto».

Per l’agenzia, sembra di capire, fu un sospiro di sollievo. Ketchum, da New York, interrompe nel 2016 il servizio. Il danno economico per gli italiani di Reti non fu rilevantissimo. «Non era il primo cliente, parliamo di un budget al di sotto dei duecentomila euro annui – specifica Micucci –. Noi italiani eravamo pagati da GPlus, che a sua volta era pagata da una banca russa. Ho poi visto da un report americano che Ketchum complessivamente riceveva cinque milioni per sei mesi di queste attività». Se altri hanno portato avanti il lavoro, adeguandosi ai desideri di Mosca, Micucci non ne è a conoscenza. L’infowar preventiva di Putin, le attività di Media intelligence per ammorbidire l’opinione pubblica sono certamente stati asset strategici del Cremlino per preparare il terreno in vista della guerra ad Ovest.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.