Il Pd compirà gli anni tra una decina di giorni: è nato dalle primarie del 14 e 15 ottobre del 2007 con l’elezione del primo segretario, Walter Veltroni, sotto le insegne unitarie della “Vocazione maggioritaria”: l’idea di rappresentare tutte le pieghe delle culture democratiche, riformiste, cattoliche, liberaldemocratiche, ecologiste e progressiste. Un compleanno “col botto”, quello di quest’anno. La candelina che la nuova dirigenza ha posizionato sulla torta del partito somiglia molto alla miccia di un candelotto dinamitardo, pronto a far esplodere quel che rimane del soggetto fondato sedici anni fa. Il perché è evidente: Elly Schlein ha tradito tutte le premesse e inficiato tutti gli sforzi dei fondatori del partito che riuniva “tutte le grandi storie della parte migliore del Paese”, come disse allora Veltroni.

De Luca ha perso la pazienza
La sveglia la suona a passo di carica il governatore della Campania, Vincenzo De Luca. «Dovremmo cercare di costruire le condizioni per un Partito Democratico, non per Lotta Continua. Se dovevamo costruire una forza politica radicale di sinistra, che ci riscalda il cuore e poi perde le elezioni, non c’era bisogno del Pd». Vincenzo De Luca va all’attacco di Elly Schlein in un intervento alla Festa dell’Unità 2023 di Napoli ad Agnano. Il governatore della Campania si è preso anche il tempo di riepilogare, per chi si fosse dimenticato come andarono le cose, che la nascita del Pd è il frutto di una sintesi culturale tra il cattolicesimo democratico e la sinistra riformista. «Se dobbiamo fare Lotta Continua facciamo un volantino al giorno, dopodiché a governare l’Italia saranno gli altri e non noi». Ma De Luca non sembra pronto a lasciare il campo ai nuovi arrivati, a partire dal suo mandato di governatore: «Se uno è un imbecille è troppo anche un mandato. Ma penso sia un dovere democratico dare la parola ai cittadini. Per realizzare un piano per i trasporti, conviene avere il tempo utile. Questo è tutto. Si parte dai problemi e dal rispetto degli elettori. Non dei cialtroni che vivono a Roma per parassitismo, gente che non ha nemmeno il voto della madre». D’altronde i governatori più popolari ed amati, come nel suo caso, rimangono più a lungo di quanto proverebbe a indicare l’ultimo diktat del Nazareno. De Luca ricorda che Luca Zaia in Veneto è al terzo mandato: «Ci sono parlamentari che sono dentro da sette legislature», attacca. Dice che il commissario del Pd in Campania Misiani «ha cinque legislature. Era parlamentare con i calzoni corti». E conclude: «Il problema è De Luca, uno che non ha correnti. Ma la verità viene prima delle bandiere. E tra verità e partito sceglierò sempre la verità». Per il seguito, appuntamento in libreria dove il 24 ottobre è atteso l’arrivo delle prime copie di “Nonostante il Pd”, testo con il quale il governatore notificherà il suo difficile rapporto con i Dem.

Sulla giustizia, la linea la dà MD
Se il Pd delle origini è nato sotto le insegne del garantismo e della massima attenzione al diritto di difesa, alla tripartizione dei poteri, all’arginare il giustizialismo manettaro, il declino di quest’ultimo anno è assai eloquente. L’ala più intransigente della magistratura politicizzata può dettare la linea indisturbatamente. E se la piena assoluzione dell’ex sindaco di Lodi, Simone Uggetti, è arrivata all’inizio del mandato di Schlein, in questi sette mesi molti hanno chiamato l’amministratore locale assolto, tranne gli esponenti della attuale segreteria nazionale. In Commissione Giustizia di Camera e Senato il Pd di Schlein si comporta come il braccio esecutivo delle toghe. Votando insieme con il M5S in ogni occasione possibile, come ad esempio sull’abbattimento della Bonafede, riforma che aveva cancellato quel baluardo costituzionale che è la prescrizione. Al congresso palermitano di Area Democratica per la Giustizia il leader del M5s e la segretaria del Pd arrivano insieme, si siedono vicini, dicono le stesse cose. “Trova le differenze” potrebbe diventare, mettendo a confronto Pd e 5Stelle sulla giustizia, un nuovo esercizio di enigmistica. Di non facile riuscita. Tanto che Enrico Costa, senatore eletto con il terzo polo, può ben dire che Area Democratica si prepara ad abbandonare la veste di corrente della magistratura e si prepara a diventare un soggetto politico tout court, nell’area del Campo Largo. Fino ad allora, rimane la buchetta del suggeritore del “Nuovo Pd” di Elly Schlein.

Sull’ambiente, comandano gli imbrattatori
Sulle tematiche della sostenibilità il Pd nato al Lingotto aveva una specificità riformista. «L’ambientalismo dei Sì, del fare, della crescita sostenibile» era il mantra con cui il Pd era nato. Cosa ne è? Ne hanno incenerito anche la memoria. Ma non con il termovalorizzatore, che ipotizzato da Ermete Realacci un tempo, sostenuto a gran voce da Roberto Gualtieri per Roma, oggi è visto come fumo negli occhi dalla nuova segreteria. «Va ridimensionato», dice Annalisa Corrado, la responsabile Ambiente voluta da Schlein. E via ai Comitati No-Ponte. No-Trivelle. No-Grandi Navi. No-tutto. «Le comunità energetiche sono il futuro», ripete ad ogni incontro pubblico, come una goccia cinese, la segretaria Schlein. Tema che riguarda pochissimi cittadini, certamente fuori dalle grandi città. Ma poco importa: è un tema che Schlein eredita dalla sinistra americana più barricadera, poco male se in Italia non fa presa. La vocazione maggioritaria ormai è acqua passata. A dettare la linea, sull’ambiente, sono ormai gli imbrattatori di Ultima Generazione. Così Andrea Giorgio, assessore all’ambiente nel capoluogo toscano, esponente dem turbo-schleiniano, aveva proposto un confronto diretto con Giordano Stefano Cavini Casalini, il trentaduenne che lo scorso marzo ha schizzato vernice rossa sulla facciata di Palazzo Vecchio. L’attivista di Ultima Generazione si è però tirato indietro all’ultimo, lasciando il Pd con un palmo di naso: “Peccato, occasione persa”, ha chiosato l’assessore fiorentino. Elly Schlein era nata nel movimento dei contestatori di Occupy Pd e aveva avuto il sostegno delle Sardine, il dialogo con Ultima Generazione è fisiologico.

Sul lavoro, guida la CGIL
Una volta patria dei giuslavoristi riformisti, terreno di confronto di Pietro Ichino e Marco Bentivogli, oggi il Pd è appiattito sulla linea Landini. Dopo aver votato compattamente per il Jobs Act, oggi quegli stessi parlamentari che l’avevano voluto tacciono, il capo piegato, quando sentono la CGIL che minaccia un referendum abrogativo. La responsabile lavoro, Cecilia Guerra: «Con la Cgil battaglie comuni su precarietà e salari, valuteremo se e quando ci sarà una proposta». Praticamente diventata una succursale della Fiom, la sede Pd del Nazareno sembra non aver capito che sul crinale inclinato della deriva, frenare diventerà difficile. Il rientro di Sergio Cofferati, l’ex leader del sindacato rosso che si rivede nel Pd della Schlein tanto da riprenderne la tessera, è eloquente. E diventano profetiche le parole di De Luca: «Questi non vogliono fare il Pd, ma Lotta Continua». Hanno la vocazione minoritaria come obiettivo, e nel mirino la strategia della sconfitta.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.