Che l’ombra di Vincenzo De Luca facesse eclissare il profilo di Gaetano Manfredi l’avevamo temuto. Oggi che arrivano segnali di conferma, temiamo ancora di più che Palazzo San Giacomo diventi la dépandance di Palazzo Santa Lucia. E il perché è presto detto e può essere sintetizzato, per il momento, in tre parole che non sono “sole, cuore e amore” ma movida, patto per Napoli e tecnici del Comune. Andiamo con ordine.

La vita notturna della città è stata fin da subito uno dei primi grattacapi del nuovo sindaco. Centro storico preso d’assalto, i baretti di Chiaia terra di nessuno, alcolici serviti ai minori, risse: un by-night fuori controllo. E su questo siamo d’accordo. E che qualche giovane non rispetti le regole, pure. Ma possiamo imputare ai controllati di non avere il controllore? Se i controlli non ci sono, non possiamo poi lamentare che in certi luoghi della città si faccia baldoria in barba al buon senso e alla legge. Ora Manfredi, insediatosi da poco tempo, non può risolvere i problemi della città in 15 giorni: considerando che Dio ci ha messo una settimana per creare il mondo, era una pretesa un po’ troppo grande. E siamo sicuri che la nuova giunta è già a lavoro per rivedere orari e regole dei festaioli, ma siamo altrettanto certi che l’atteggiamento del sindaco somigli molto a quello del Governatore. «Purtroppo tra i giovani si è diffusa l’abitudine di aggregarsi e ubriacarsi. Ci sarà un cambio dei regolamenti degli orari», ha tuonato Manfredi.

Ben vengano le regole, ma è giusto colpevolizzare i giovani e parlare di “strana abitudine”? La socialità può essere definita una “strana abitudine”? Dopo due anni di pandemia e di restrizioni anti-Covid, poi, appare ancora più incomprensibile. E qui riaffiorano ricordi quasi sbiaditi. Ricordate quando il governatore incolpava i giovani dell’impennata dei contagi? «È colpa loro, girano senza mascherina, si divertono e noi andiamo in zona rossa, così uccidono i nonni». Insomma, era sempre colpa dei giovani. Questo è un atteggiamento preoccupante: uno sceriffo c’è già, due sarebbero troppi. Ora lasciamo il drink e passiamo al patto per Napoli, anzi a quel che resta del famoso accordo. Nessuno più ne parla, l’hanno sostituito con norme, soluzioni, provvedimenti e altri termini ma il patto non rientra nei piani del Governo. Ma quando tutto sembrava ormai perso, ieri, a riaccendere la speranza di un interesse del Partito democratico verso il patto è stato proprio il figlio di Vincenzo De Luca. «Ho ribadito l’impegno del Pd a fare ogni sforzo per rispettare il patto per Napoli – ha dichiarato Piero De Luca, vicecapogruppo dem alla Camera – Non possiamo permetterci di abbassare la guardia su questo tema».

La sua attenzione fa piacere, ma è singolare se si osserva il silenzio di chi quel patto l’ha firmato, cioè di Letta, Conte e Speranza. Niente paura, ci pensa De Luca junior. La terza questione che fa pensare a un feudo deluchiano che si estende a Napoli riguarda i nuovi inquilini di Palazzo San Giacomo. Non è un segreto, infatti, che il direttore generale Pasquale Granata e il capo di gabinetto Maria Grazia Falciatore siano tra i fedelissimi del governatore. Senza dimenticare che indossata la fascia tricolore, Manfredi ha incontrato il presidente De Luca, senza neanche passare per il suo nuovo ufficio. Lì c’erano, invece, altri componenti dello staff di De Luca accorsi per fare il punto della situazione e liberare la scrivania del sindaco dai cimeli impolverati del buon de Magistris. Tutto fa pensare a un rapporto di dipendenza: va bene il buon vicinato, ma ognuno sia padrone a casa sua.

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.