Io non ce l’ho con Di Maio, giuro. Anzi, in tanti me ne parlano bene, dicono che si applica, che studia, che ricorda per certi aspetti i democristiani di un tempo che fu. Certo, da ministro degli Esteri non lo apprezzo: ha posizioni anti-atlantiche, filo-cinesi, perdenti per l’Italia, nonostante il tentativo di riaggiustare il tiro degli ultimi mesi. Ma dove non riesco a digerirlo è nella sua martellante e incrollabile tiritera sul taglio dei parlamentari. Ieri ha detto, riferendosi all’imminente appuntamento referendario: «Il 20 e 21 settembre taglieremo 345 poltrone come promesso». Poltrone, eh, non rappresentanti del popolo democraticamente eletti, ma poltrone.

E poi: «Lo Stato risparmierà 300mila euro al giorno (oltre 109 milioni di euro all’anno, ndr), praticamente quanto guadagna un comune mortale in dieci anni di lavoro (anche di più)». Tradotto: con questa riforma la democrazia funzionerà meglio? Il processo democratico e quello legislativo guadagneranno in efficienza e qualità? Siederanno in Parlamento persone migliori e più qualificate delle attuali? Le risposte sono no, no e no, ma chissenefrega. Agli italiani abbiamo promesso di risparmiare e così tagliamo uno spreco: la democrazia. Tra l’altro sparando numeri in aria, se è vero che l’Osservatorio sui conti pubblici guidato da Carlo Cottarelli ha stimato in 57 milioni di euro all’anno l’eventuale risparmio, pari allo 0,007 per cento della spesa pubblica. Infine ha detto, solenne: «Torneremo ad essere un Paese normale, al pari delle altre democrazie europee».

Sono convinta che io e Di Maio abbiamo una visione molto diversa di cosa sia un Paese normale: per me, per esempio, è normale un Paese liberale, garantista, fondato sull’esercizio democratico della volontà popolare e sul diritto alla ricerca della felicità, non sul numero di deputati e senatori. Posso però dire con certezza che non saremo al pari delle altre democrazie europee, perché se al referendum passerà il taglio dei parlamentari, il popolo italiano sarà il meno rappresentato d’Europa, ovvero quello in cui la democrazia sarà più debole. Complimenti a chi ne gioisce. Se è per questo, siamo anche il Paese europeo che in questi ultimi anni ha tagliato di più la spesa per la sanità, per la scuola e per la ricerca scientifica. Ma non mi pare che ci ritroviamo più sani o più colti. Il che vuole dire che tagliare non è sinonimo di funzionare o stare meglio. La riforma voluta da Di Maio non riduce costi, per quello sarebbe stato sufficiente intervenire sul funzionamento delle Camere. Diminuisce invece i diritti dei cittadini, che saranno meno rappresentati. E concentra sempre più potere nelle mani di pochi, alla faccia della democrazia diretta.

Ma mettiamo anche che abbia ragione Di Maio, ad additare la democrazia come un costo, o addirittura uno spreco. Come si concilia questo imperativo assoluto al risparmio col costo dello staff alla Farnesina dello stesso Di Maio, pari a 711mila euro l’anno, il più alto mai registrato da quando questi dati sono pubblici, e ampiamente superiore a quello dei suoi predecessori Bonino, Alfano, Gentiloni, Mogherini e Moavero? Non mi piace fare i conti in tasca, anzi, siccome penso che la democrazia non sia un costo e penso che sia giusto che chi esercita funzioni di governo – particolarmente di rappresentanza internazionale come Di Maio – debba dotarsi di tutto il necessario, non ho da rimproverare nulla al ministro degli Esteri.

Ma è lui ad aver costruito la propria fortuna sulla retorica della casta, che immancabilmente non regge. Ma come, si fa gli Edward Mani di Forbice con i diritti degli altri e si fa gli spendaccioni per sé? Non funziona così, bisogna dare il buon esempio, se ci si presenta come i paladini dell’oculatezza. I grillini hanno guadagnato la ribalta grazie all’onda del celebre libro di Stella e Rizzo, La casta, e hanno detto, quando hanno guadagnato il potere, che avrebbero aperto i palazzi come una scatoletta di tonno. Ma non avevano fatto i conti con la realtà. E cioè che sì, la democrazia, la rappresentanza, costano, ma non è questo il punto. Il punto è saperle esercitare con capacità e onore. Sennò, appunto, le si riduce ad una cifra. Capisco che ora è difficile tornare indietro.

Ma andare avanti per questa strada è un grave errore, e ce ne accorgeremo se il responso di questo referendum fosse un sì. Sarebbe meglio fare un’operazione verità, che gioverebbe al M5s e a tutti coloro che su questo tema gli sono andati dietro, sperando di riallacciare un filo perduto con l’opinione pubblica.